Quei Primi Passi del Jazz, tra Roma e Milano del dopoguerra
 
 
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Quei Primi Passi del Jazz, tra Roma e Milano del dopoguerra

 

 

di Adriano Pateri

 

 

Il jazz è notoriamente esploso in Italia nell'immediato dopoguerra anche se a livelli diversi. La fauna musicale, inizialmente più presente al nord, era divisa in due grandi gruppi: da un lato i musicisti professionisti che vivevano lavorando in RAI o, piuttosto saltuariamente, aggregati presso compagnie teatrali… le famose 'riviste di varietà', dall'altro la grande massa di musicisti 'semi-pro' o dilettanti, entusiasti portatori del 'sacro fuoco' e seguaci del jazz tradizionale. Le bande di jazz tradizionale, alcune divenute famose, si moltiplicavano in varie città italiane.
Tra i due gruppi però cresceva anche un terzo tipo di musicisti di jazz, appassionati del nuovo genere seguito cronologicamente al jazz classico e allo swing degli anni trenta, e genericamente definito 'jazz moderno'. La rivoluzione iniziata in America nella seconda metà degli anni '40 esplodeva negli anni '50 grazie a musicisti come Parker, Gillespie, Monk ed altri. Il Bop o BeBop, come era stato definito, avrebbe influenzato la musica ed i musicisti di ogni epoca seguente fino ai giorni nostri.
Il periodo dello sviluppo e della diffusione della 'nuova musica' in Italia è stato, per chi scrive, istruttivo, divertente e indimenticabile. Non esistevano scuole né libri o metodi per l'apprendimento del nuovo idioma del jazz. Orecchio, passione ed a volte un certo talentaccio alimentavano l'irrefrenabile voglia di suonare.
Ci si riuniva in casa ad ascoltare i dischi comprati o reperiti a fatica, tentando con difficoltà ma molta caparbietà di "rubare" i fraseggi e soprattutto le armonie dei maestri americani.
Il panorama romano negli anni '50 rifletteva la situazione e le tendenze del resto d'Italia. La presenza della prima e seconda Roman New Orleans Jazz Band ed anche della RAI che trasmetteva canzoni e composizioni con arrangiamenti spesso ispirati al jazz, contribuivano alla diffusione della nostra musica, per molti versi aliena ai gusti del grande pubblico.
Contemporaneamente, il manipolo dei 'modernisti' aumentava di numero e qualità musicali. A Roma fu aperto il primo jazz club presso il 'Mario's Bar' ed il Jazz Club di Roma iniziò la serie dei Festival Nazionali del jazz.
Fu il secondo Festival Nazionale del Jazz tenuto al Teatro Quirino di Roma nel maggio del 1958 e durato ben 6 giorni, la prima ed unica manifestazione romana cui chi scrive partecipò.
Ricordo con affetto la simpatica professionalità di un ancor giovane presentatore Enzo Tortora. E rivedo, dopo più di 55 anni, le figure ed i nomi dei grandi musicisti italiani che parteciparono quel giorno con noi: Piero Umiliani con il clarinettista americano Bill Smith, il 5tto di Eraldo Volonté con Sergio Fanni e per chiudere, l'allegra brigata di Carlo Loffredo con la sua vibrante II R.N.O.J.Band.
Gli altri cinque giorni del festival ospitarono gruppi di ogni parte d'Italia e di ogni genere musicale, dal tradizionale delle milanesi Milan College Jazz Society e Original Lambro J.B, della genovese Riverside Syncopators e della New Emily J.Band di Modena al moderno di Gil Cuppini, del 5tto di Nunzio Rotondo (che vinse la coppa per il miglior complesso moderno). Presenti anche Gorni Kramer, il 5tto di Basso/Valdambrini con Romano Mussolini e molti altri.
Il complesso di cui ebbi il piacere di far parte si chiamava "Modern Jazz Gang".Gli arrangiamenti del leader Sandro Brugnolini (di professione giornalista al quotidiano romano "Il Popolo") avevano un chiaro sapore californiano.
La nota attrice Laura Betti, appassionata di jazz, cantò con noi qualche brano (mai provato prima) e malgrado le inevitabili 'esitazioni', la performance del gruppo fu bene accolta e soprattutto fu divertente. Molti dei musicisti divennero in seguito attivi a livello professionale o quasi: Cicci Santucci (tb), Enzo Scoppa (st), Alberto Collatina (tbn a pistoni) e Roberto Podio (passato poi batterista dipendente in RAI).
Pochi mesi dopo il festival e dopo essermi laureato ho lasciato definitivamente l'Italia per un periodo di quasi 15 anni passati in Inghilterra, Belgio e Francia a lavorare per la stessa multinazionale americana. Il ricordo del Festival di Roma non mi ha comunque mai abbandonato e rimane ancora oggi una delle più belle e divertenti esperienze musicali della mia vita, testimone storico di un'Italia povera ma entusiasta, meravigliosamente umana.



 
   
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