Ricordo di Max Palchetti
 
 
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Ricordo di Max Palchetti

 

Uno dei sound che hanno affascinato di più gli appassionati di jazz classico è quello prodotto dai primi trombonisti di New Orleans, il cui caposcuola indiscusso fu Edward Kid Ory, uno dei "padri" del jazz. Il "grow" ottenuto col loro strumento, il fraseggio scarno, asciutto, ma efficace e l'intonazione che mai veniva meno, uniti ad uno swing travolgente, scaturivano in un sound coinvolgente che ha affascinato per decenni i cultori di jazz classico. Tale stile di esecuzione trasmigrò a Chicago all'inizio degli anni Venti con il grande esodo di musicisti dalla città del Jazz che seguì alla chiusura del quartiere di Storyville, attirato dalle possibilità che offriva la Windy City.

Nacquero piccoli complessi in cui il trombone ricopriva il ruolo di strumento conduttore, e si sposava egregiamente col contrappunto del clarinetto. Le sezioni ritmiche erano scarne anch'esse, ma sufficienti e anzi assai efficaci nel tenere una base solida. Le costituivano banjo o chitarra, e il basso, quest' ultimo usato con dovizia di "slaps" a dare un supporto in più a certi passaggi.
All'inizio degli anni '80, al Festival del Jazz di Lugano, rimasi fulminato da un complesso siffatto, trombone, clarino, banjo e contrabbasso, i Red Bean Jazzers. Questo scritto vuole essere un ricordo di questa straordinaria formazione e soprattutto del suo leader e fondatore, la cui carica umana ed artistica rimpiangerò per sempre, Max Palchetti.

Quando nell'intervallo di quel primo concerto lo avvicinai, mi disse che la formazione e il suo stile si ispiravano a quelli di Roy Palmer, un grande purtroppo dimenticato, le cui registrazioni tuttavia sono reperibilissime su iTunes. Il repertorio dei Red Bean era impressionante, comprendendo circa 300 brani, in parte classici del jazz, in parte tratti dal repertorio delle band di Clarence Williams, in parte quelli che negli anni Venti e Trenta venivano definite "novelties", canzoni appena uscite, spesso da Tin Pan Alley, la strada di New York dove risuonavano dalle finestre delle case discografiche i motivi delle ultime composizioni.
Si parlava della carica umana di Max, che credo sia appartenuta solo a pochi, e si estrinsecava in uno swing travolgente che riusciva a trasmettere il pathos a tutti i presenti. Amava suonare ed essere ascoltato in piccoli contesti, piazzette, bar, dove poter avere il contatto più stretto possibile con il suo pubblico, dove si stabiliva una linea calda, direi infuocata, diretta tra lui e gli appassionati. Poteva suonare per ore, come i grandi della città del Delta.

Ma se il suo trombone trascinava tutti, componenti della band e pubblico, è importante rilevare il livello artistico del clarinetto, Fabio Palchetti, suo figlio, il cui puro sound di New Orleans era stupefacente, e credo lo sia tuttora.
High Society, Weary blues, Sister Kate, Clarinet Marmalade, eseguiti magistralmente e con uno stile classico impeccabile e carico di swing. Ricordo che in uno dei successivi festival di Ascona, verso l’ora del tramonto, recandomi alla piccola piazza davanti alla chiesa del paese, udii di lontano Fabio eseguire Burgundy Street Blues: bastava socchiudere gli occhi, e non vi era difficoltà a sentirsi trasportati in altro tempo e in altro luogo, la New Orleans dei tempi migliori, e,dato che era piena estate, se ci si concentrava,si poteva anche sentire l'intenso profumo delle magnolie... al suono di quel brano di George Lewis. Su questo pezzo dissertammo poi con Fabio circa l'uso del clarino di metallo piuttosto che quello di legno classico, piccole differenze, a cui però i musicisti del delta badavano, come pure Fabio Palchetti.


Ma ecco che giunge l'ingrediente ulteriore per una band a mio avviso comunque già perfetta: si aggiun-ge alla formazione una giovanissima cantante di St. Louis, che come tante aveva iniziato con iGospel nelle chiese Battiste del Sud americano, Sybil Theonia Smooth. Insieme daranno vita a brani pregni di emozione, di swing... di tutto direi!
Sybil sposerà poi Max. Un coppia straordinaria e perfetta, con il jazz nell'anima.
Una storia di gente rara, introvabile nel mondo da tempo. Max mi regalò i suoi vinili, di cui qui riportiamo le copertine, avemmo qualche bella chiacchierata telefonica, poi, come spesso accade, si finì dall'essere presi nel gorgo delle proprie attività e delle proprie vite. Non ci sentimmo più, anche se io continuai periodicamente ad ascoltare le registrazioni dei Red Bean. Quando ebbi una finestra di calma nella mia vita, cercai Max, non lo trovai più ai numeri telefonici che avevo, e appresi dalla rete che era scomparso, nel 2005. Mi dissero che al suo funerale gli amici avevano eseguito i brani classici del rito di New Orleans. Io continuo ad ascoltare Max e i Red Bean, provando sempre le emozioni che essi tenevano così tanto a trasmettere al loro pubblico, in quelle piazzette, con la loro carica umana e il loro talento.

 

 

 

 


Formazione iniziale dei Red Bean Jazzers:

Max Palchetti       trombone
Fabio Palchetti     clarinetto
Tony Meucci         banjo
Bobby Matassi      contrabbasso

         
         
 
   
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