di Fabio Lossani
tratto da “Django Reinhardt in Italy” 2010 edizioni Carish
per informazioni chiedere all'autore fabio.lossani@fastwebnet.it
Mentre all'orizzonte l'acetato lentamente tramontava sostituito dalla nera lacca del 78 giri, a Parigi un certo Dizzy si esibiva in quello che potremmo definire il primo concerto di Jazz Moderno scatenando un'accesa polemica tra gli amanti del Be-bop, il Jazz del futuro, simbolo di modernità e progresso e quelli del Jazz Classico che ricordava tempi passati, tempi di guerra e di sofferenza e forse per questo mal sopportato per la verità più dal plesso che dall'orecchio.
I critici cavalcano, sfruttano, fomentano.
Il chitarrista nato in Belgio ma di origini manouche e il violinista nato in Francia ma di origini italiane, idoli swing che la guerra aveva separato, si erano da poco ritrovati e avevano ricomposto il Quintette ma se pur unanimemente era riconosciuta la loro grandezza si trovarono negativamente coinvolti in queste lotte intestine.
“Suonano così veloce, così veloce!” esclamò Django una sera del maggio '45 ascoltando Gillespie and His All Star Quintet con Charlie Parker, ma non provò invidia, anzi la nuova corrente lo interessava e fu con nuovo entusiasmo che suonò con Bird, Miles e Dizzy. A quei critici seduti parecchie file dietro di lui che parlavano di una influenza del Bop sul chitarrista, il giornalista e critico Livio Cerri fece notare, girandosi, che il gusto di Django per le dissonanze era di molto antecedente alla nascita della scuola Bop, per cui semmai ne rappresentava uno dei pionieri!
Alla Gare de Lyon intanto Django e Stephane incrociano i colleghi americani tornati a suonare in Europa alla fine della guerra e li salutano con un sorriso, ma quel giorno sembrano più pesanti le custodie dei loro strumenti con appiccicata, fra le etichette delle città dove hanno suonato, quella di rappresentanti di un jazz ormai vecchio. Abbandonano Parigi per accettare la proposta di un impresario italiano che a quel tempo, come in un film di Woody Allen, poteva gestire indifferentemente ballerine, maghi, Louis Armstrong o Buffalo Bill in grandi tournée o singole serate.
Nei primi giorni del dicembre '48 Grappelli suonerà a Milano al night club Ciro’s durante alcune serate e in un paio di concerti al teatro Nuovo, con Joseph Reinhardt (fratello di Django), il contrabbassista Giorgio Poli, il pianista Franco Cassano e il chitarrista Angelo Servida.
“Django, vieni subito a Milano! Qui c'è la possibilità di un contratto di due mesi all'Astoria, un night-club molto elegante situato in piazza S. Maria Beltrame non lontano dal Duomo.” gli disse il violinista dopo averlo faticosamente scovato a casa di un amico a Roma.
Babbo Natale portò un gran regalo quell'anno al giovane chitarrista milanese, Franco Cerri, che si trovò a suonare, il giorno di S. Stefano, con il mito dei chitarristi dell'epoca. Quanto rimpianse invece Armando Camera - l'altro chitarrista ingaggiato - di aver firmato un precedente contratto con un'orchestra di Torino e perciò doversi far sostituire da Piero Visani ? Nel retro del locale si fuma, Grappelli sorseggia un cognac, Reinhardt gioca a poker con il contrabbassista Ubaldo Beduschi ed altri due. Alla sede della RAI in corso Sempione le bocche aperte dei musicisti dell'orchestra di Gorni Kramer ad ascoltare Django che per venti minuti suona con la chitarra elettrica di Cerri. “Dal vivo è ancora più straordinario!” esclamò un cliente, perchè la notizia che Django era all'Astoria Club circolò in un baleno ed erano molti in Italia gli ammiratori che andarono ad ascoltarlo, sia tra gli appassionati di Jazz sia tra i musicisti e ovviamente tra i chitarristi, anche già affermati. Quanti di loro andarono ad ascoltarlo? Forse Michele Ortuso o Giovanni Ferrero, Cosimo Di Ceglie, Alfio e Rocco Grasso, Franco Pisano.
C'era anche chi, come il già famoso Luciano Zuccheri, gli aveva reso omaggio chiamando la propria formazione Quintetto Ritmico di Milano. Quale tarocco, quale fondo di caffè poteva perciò prevedere che dopo soli dodici giorni il contratto sarebbe stato ricusato?
“Ballate, ballate pure gente! Django se ne va”.
Sul treno che li porta verso la Capitale Django, canticchiando “Tornerai” (“J'Attendrai”, rara testimonianza filmata) scritta dall'italiano Dino Olivieri, ripensa alla prima volta che venne in Italia: era il 1915 a Livorno e poi a Roma. Anche il suo amico Vittorio Spina, seduto in uno dei primi vagoni del Jazz italiano con la sua chitarra sulle ginocchia, lo ricorda bambino di cinque anni all'Usignolo in via Anime Sante, sempre lì, ad ascoltare valzer, polke, fox trot suonati da lui e Paul il chitarrista zingaro con il quale il piccolo Django girava per Roma.
In posa davanti a un Palazzo che porta il suo nome, Stefano Grappelli indossa una sciarpa tricolore intorno alla cintola, ma non si tratta del violinista, bensì di suo nonno sindaco della cittadina di Alatri.
“Qui vengono i più bei nomi della Roma-bene", li informò Christian Livorness, loro grande estimatore indicandogli la Rupe Tarpea, il locale al numero 13 di via Veneto in cui avrebbero dovuto suonare. I due erano soprattutto attratti dal buon profumo di cibo italiano che proveniva dalla cucina sino alla sala ristorante dove avrebbero dovuto suonare come attrazione: “Le tre dita fulminanti” annunciava un cartello. Django sorrise sarcastico guardandosi la mano - passarono poi ad una saletta che con il nome di Jicky Club veniva utilizzata come locale da ballo.
Voilà La Dolce Vita! Ragazzi di buona famiglia coi nobili, i politici e anche qualcuno dal Vaticano. “Guarda a quel tavolo c'è Porfirio Rubirosa!". Il pubblico ben selezionato (soprattutto dai prezzi) era vario e a parte qualche ricco vitellone romano con la puzza sotto il naso, c'era chi provava una sincera passione ed anche una discreta conoscenza per il Jazz, le belle donne e lo champagne. Appassionato di Swing ma padre dell'intransigente bopper e nonno dello scatenato rocker che avrebbe mal digerito le chiome di un nipote beat, spesso lui e il suo amico Sergio Sangiorgi – presidente dell'Hot Club di Roma, che organizzò un concerto al teatro Bernini in via Borgognona - portavano le sedie sino alla pista da ballo per meglio ascoltare l'esibizione del quintetto.
E' capitato che Carlo Loffredo sostituisse Pecori al contrabbasso e a volte, quando il manouche non sopportava le opprimenti stanze dell'Hotel Alexandra, lo accompagnava in piazzale Clodio dove c'era un piccolo luna park gestito da alcuni cugini zingari che vivevano in una decina di roulotte. Lì spesso passava la notte. Ne uccide più la forchetta che la spada!
Come rinunciare alla cucina italiana? “ Certo non è come quella francese, molto più raffinata... e poi come apparecchia la tavola Gianni Safred?! Vogliamo parlare di come serve i piatti Carlo Pecori?! Oh, mon dieu, le pentole di Aurelio De Carolis!” Solo un palato prevenuto può affermare che questa cucina sia insipida, stimola a prendere nuovi rischi, anche ritmicamente, a ricercare un accompagnamento “spezzato” come con gli amici bopper, ad un apporto molto originale con fraseggi ad accordi, forza ad impreziosire con pregevoli ed energici interventi l’accompagnamento ai solo di Grappelli.
Django non gradisci? E allora perchè hai accettato che Livorness si interessasse presso la RAI (con la quale collaborava presentando dalla Francia una trasmissione settimanale) per farvi avere un contratto e registrare 70 brani che sarebbero stati poi mandati in onda? Classici del Quintette du Hot Club de France e canzoni di successo ma anche composizioni recenti o brani che sarebbero diventati standards del repertorio be-bop. “Voglio suonare anche un'improvvisazione per chitarra in onore al grande Joaquin Turina che è morto una decina di giorni fa".
Over The Rainbow/Night And Day/Minor Blues/Nature Boy/The World Is Waiting For
The Sunrise/Vous, Qui Passez Sans Me Voir/Hallelujah/Nagasaki/I'll Never
Be The Same/Swing 39/Clopin-Clopant/Honeysuckle Rose/All The Things You
Are/Djangology/Liza/For Sentimental Reasons/Daphne/La Mer /Sweet Georgia
Brown/Lover Man/Marie/Stormy Weather/Minor Swing/To Each His Own/What Is This
Thing Called Love?/Ou Es-Tu, Mon Amour?/Undecided/Improvisation N°4/I'm
in the Mood for Love/Swing 42/I Surrender Dear/After You've
Gone/Mam'zelle/I Got Rythym/I Saw Stars/Artillerie Lourde/It's Only A
Paper Moon/Time On My Hands/Bricktop/Improvisation Sur La Symphonie No. 6 De
Tchaikovsky/My Blue Heaven/Menilmontant/Swing Guitars/My Melancholy
Baby/Truckin'/Webster/Micro (Mike)1-2/Dream Of You/Begin The Beguine/How
High The Moon/Nuages 1-2/I Can't Get Started/I Can't Give You
Anything But Love/Manoir De Mes Reves/The Man I Love/The Peanuts Vendor/Just
A Gigolo/Troublant Bolero/Rosetta/Blue Skies/It Might As Well Be Spring/Blue
Lou/I'll Never Be The Same/Brazil/What A Difference A Day
Made/Pigalle/Body and Soul/Que Reste-t-il de Nos Amours.
Tutto in completa libertà sia nella scelta dei brani che nei tempi di esecuzione, senza vincoli di minutaggio e a volte senza arrangiamenti prestabiliti ma completamente affidati alla solida intesa tra il chitarrista ed il violinista. Adesso lo si chiamerebbe “disco live” o magari “umplugged”.
Riguardo al mistero di queste registrazioni, Vostro Onore, Signori della Corte, supportati dall'esperienza di chi in Rai ci lavorava, vorremmo porre al testimone Christian Livorness due semplici domande:
1. Poteva un ente statale come la Rai permettere l'utilizzo arbitrario dei propri studi di registrazione senza un contratto che prevedeva il pagamento dei musicisti e il relativo diritto di proprietà di ciò che veniva registrato?
2. Data la mancanza di un rigoroso controllo, poteva succedere che qualcuno, magari già collaboratore Rai, si portasse a casa lacche o nastri o dischi? A Voi il verdetto!
All'inaugurazione del cine-teatro Metropolitan di Napoli l'ultimo concerto, l'ultimo brano, l'ultima nota e poi le strade che il destino aveva unito creando un fantastico sodalizio musicale si dividono per sempre, Django Reinhardt e Stephane Grappelli lasciano lo Stivale, il gelo di marzo e una neve irriverente che copre il sud d'Italia fino a Palermo.
Restano i ricordi e gli aneddoti da raccontare magari mediati, com'è giusto che sia, da una percezione personale delle cose, ma soprattutto restano immortali pagine di Grande Musica.
Il vento del Jazz soffia sempre più veloce tra le ance degli ottoni e sempre più frequentemente un pennello sostituisce il plettro tra le mani di Django.
Papa Pio XII benedice l'Anno Santo 1950 e in mezzo ai tre milioni di fedeli che arrivano a Roma si possono incontrare anche cinque musicisti francesi per l'ultima volta con il nome leggendario di Quintette du Hot Club de France. Arrivano col treno dopo ventiquattr'ore di viaggio ma meglio così piuttosto che con l'aereo perchè ancora forte era il ricordo e la paura per la disgrazia capitata pochi mesi prima nel cielo italiano ai calciatori del Grande Torino. Raggiungono via San Nicola da Tolentino n°4 dove, all'angolo con via Bissolati, è stato da poco costruito un grande palazzo, cattedrale pagana che ospita la direzione romana della Fiat, uffici, un centro espositivo, gallerie, salotti per riunioni, negozi, due cinema (Fiamma e Fiammetta), e poi scendendo verso i sotterranei attraverso una lunga scala si raggiunge l'Open Gate Club il locale che li ha ingaggiati.
“Hanno mandato via Sven Asmussen e la sua orchestra, una delle più quotate? Ach moune! A che ora parte il prossimo treno per Parigi?” chiede Django ad Alf Masselier il contrabbassista. Certo suonare Jazz in quel locale, durante la cena, non fu facile, “Tre” faceva cenno Roger Paraboschi, il batterista, accogliendo la richiesta del maitre, e via! Incominciavano a suonare per la quarta volta il tema de “Il Terzo Uomo”. “Appena trovo un momento lo vado a vedere quel film!” diceva il pianista Ralph Schécroun.
La clientela era ancora più ricca e selezionata che alla Rupe Tarpea, ma tra questi armatori greci e petrolieri americani dove sono gli italiani appassionati di Jazz? Ah ecco Mario De Crescenzo! “Per il tuo compleanno ti regalerò un mio disegno”. Ciao Carlo Pes e Armando Trovajoli! Più tardi ci si vede a casa tua Armando, a Monte Mario, e magari facciamo una jam session fino alle sei del mattino come l'ultima volta, con i musicisti del sestetto di Benny Goodmann, li ho stesi tutti! Scusi tanto Mr. Goodmann, la ringrazio dell'invito, ma in America non ci torno.
“J'adore Rome!” E in effetti Roma è bella in aprile e a dieci minuti da qui c'è la Fontana di Trevi - chissà se la Ekberg è già lì dentro?! - Come non subire il fascino della Città Eterna? Fermarsi a guardare gli antichi capitelli, il cappello a tesa larga e un fazzoletto rosso al collo. Cosa sarà allora a provocarti questo malumore? Il club irriverente? La pioggia che incomincia a cadere? La sensazione che i tempi corrono più veloci delle tue dita ? Eppure ancora molto hai da dire e proprio per questo ritorni alla RAI a registrare. Con Andrè Ekyan, il sassofonista amico da vent'anni, e il quintetto riunito attorno ad un solo microfono piazzato in mezzo alla sala di registrazione. Paraboschi però, suonando un po' più in là, non c'è nella foto. Ma non preoccuparti Roger, cinquant'anni più tardi un giovane musicista milanese ti spedirà una foto in cui ci sei anche tu e in cambio magari tu gli racconterai i tuoi ricordi.
Di nuovo negli studi Rai lasciando Maccaferri per Galimberti (il liutaio della ditta MOnzino-GARlandini) cioè il suono acustico e un po' sferragliante per quello elettrico di una Mogar elettrificata con l'applicazione di un pick-up.
In quei 30 brani tiri fuori tutto. La ricerca di una nuova sonorità più vicina all'inquietudine che ti pervade ma che è anche elemento fondamentale della dannazione be-bop. Grazie allo strumento elettrico il fraseggio viene modificato e l'inquietudine si fa distorsione...
Anniversary Song/Stormy Weather/Russian Songs Medley/Jersey
Bounce/Dinette/Sophisticated Lady/Micro/Dream Of You/Nuages/Darktown
Strutters' Ball/Danse Norvegienne N° 2/A-Tisket A-Tasket/Manoir De Mes
Reves/Place De Bouckere/September Song/Royal Garden Blues/Saint Louis
Blues/Sweet Georgia Brown/Minor Swing/Double Scotch (Double
Whisky)/Artillerie Lourde/St James' Infirmary/C Jam Blues/Honeysuckle
Rose/Stompin' At The Savoy/ Rêverie/Impromptu/Black
Night/Boogie-Woogie/Boléro.
Preziosi ma fragili documenti che una volta trasmessi per radio scompaiono per poi ricomparire parecchi anni dopo conservati in una villa romana (sul cancello c'è scritto “C.Livorness”) e alcuni come antichi denari romani si sgretolano tra le mani.
Si sente uno scrosciare, ma non si tratta di applausi bensì della pioggia che non vuole far sbocciare quella primavera romana e impedisce le passeggiate e i ritratti dei pittori.
“Scusi questo treno ferma a Montecarlone (Capena) come nel film “La Route du Bonheur?”
Django, Naguine, Babik presto che il treno parte!
L'appassionato studioso cercando vecchi documenti, rovistando tra antiche foto un poco ingiallite troverà eccitato una foto di Django all'Astoria di Milano ma il fotografo disattento, si dimenticò di girare il rullino e così impressionò due differenti immagini: quella dei musicisti e quella di una coppia che scende le scale del locale. Immagini che si confondono come i ricordi di chi ha vissuto quei momenti da protagonista o da spettatore. Così tutti gli articoli, tutte le interviste, tutti i libri da Delaunay in poi aiutano a ricordare ma nello stesso tempo confondono.
Mi è stato possibile raccontare questa storia, un po' romanzandola ma sempre rispettando la verità, grazie alle testimonianze, in alcuni casi rese a me personalmente, da chi c'era, spettatore o protagonista.
Ringrazio per questo:
Livio Cerri, Franco Cerri, Mario De Crescenzo, Stephane Grappelli, Christian Livorness, Carlo Loffredo, Adriano Mazzoletti, Roberto Nicolosi, Roger Paraboschi, Arrigo Polillo, Vittorio Spina, Piero Visani, Luciano Zuccheri.
Fabio Lossani
Bibliografia:
Charles Delaunay - “Django Reinhardt – Souvenirs” Ed. Jazz Hot
“Django, Mon Frere” Eric Losfeld Ed.
Adriano Mazzoletti – “Il Jazz in Italia - dalle Origini al Dopoguerra” ed. Laterza
“Il Jazz in Italia” ed. EDT
Alain Antonietto - “François Billard - “Django il Gigante del Jazz Tzigano” ed. Arcana Musica
“Django Reinhardt – Rythmes futurs” ed. Fayard 2004 film
“La Route du Bonheur” (“Saluti e Baci”) prod. Italia/Francia di Labro e Simonelli film con Django (la moglie Naguine, il figlio Babik?) sostituito nella versione italiana da Yves Montand con Henri Crolla-.
“Open Gate club” cinegiornale “La Settimana Incom” 17/03/1950 http://www.archivioluce.com/archivio/