Paris Blues
"Acritica"
di Duccio Castelli
Paris Blues
Film, 1961, Martin Ritt
L'acuto di trombone squassa l'inizio del film, ed il viso dell'inedito trombonista ritaglia il bianco e nero di una cave esistenzialista di Parigi.
Paul Newman.
Siamo nel 1960, tempi gloriosi del Jazz in Francia, pargonabili sotto certi aspetti ai folli anni del Jazz dell'America degli anni venti. Ma diversamente da quella America, qui la fa da padrone l'intelletto, la raffinatezza francese per un gusto retro', la moda di una elite.
E' un film molto americano, come si diceva allora, anzi allora si diceva un'americanata, ma tale non è.
Semplicemente un linguaggio cinematografico d'epoca, ingenuo. Ma per questo con un suo valore e non solo storico.
Al di là degli accenni intrinseci e timidi a tematiche sociali allora nascenti, i neri anzi allora negri, gli entellettuali, l'alienazione Antonionica dietro l'angolo, prendiamo invece l'effetto epidermico di un film che va visto e ascoltato per quello che semplicemente è: un buon film gradevole e con alcuni momenti artisticamente degnissimi.
L'inizio, come dicevo, colpisce anzi entusiasma (forse perchè sono un trombonista). E' un acuto da professionista, sparato di brutto e da solo a scena aperta. E' Lawrencwe Brown che doppia l'azione di Newman. Il quale si è preparato egregiamente studiando molto a fondo il maneggio dello strumento, la mimica del trombonista e non mi stupirei che abbia anche imparato a suonare lo strumento. Un grande attore lo si riconosce anche da questi dettagli. Dietro a tutto il lavoro musicale c'è Duke Ellington (anzi, davanti). Con buona parte della sua Band.
Poi naturalmente Satchmo.. che impazza in tempi improponibili ed arrangiamenti ritmici complessi. Fu a cavallo del 1960 e il 1961 che Armstrong ed Ellington lavorarono appunto per qualche settimana insieme per questo film, a Parigi, e fu la unica volta che i due stettero insieme par tanti giorni, e così si conobbero bene.
Un tributo importante viene poi dato al personaggio, non dichiarato, di Djiango Reinhardt, interpretato dalla grande maschera di Serge Reggiani e doppiato da un ellingtoniano. Alla fine il film termina un poco a tarallucci, ma anche i tarallucci son buoni, con il vino. E ci lascia la voglia di rivederlo, almeno per varie scene.
Dimenticavo: molto molto bello il tema che il personaggio di Newman nel film ha scritto e che esegue al trombone per il giudizio di Sidney Poitiers (quasi mi dimenticavo di lui, ma non è che brilli molto). Ho cercato qua e la ma non trovo chi l'ha scritto.. direi però o Duke o Strayhorn. Vorrei riascoltarlo..
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