Rivedere "Let's get lost" di Bruce Weber a distanza di tempo e' un'emozione da rivivere, e non solo per il riascolto dei brani di Chet Baker, che magari, come chi scrive, pratica in continuazione o in cui il jazzofilo si imbatte di frequente, ma perche' un artista e un personaggio come Chet non finira' mai di regalarci sensazioni ed indurci a riflessioni sul jazz e sulla vita stessa. Sensazioni che ci portano lontano, nel sogno,quello dell'eterna giovinezza che Chet impersonava e viveva in modo non scindibile dalla sua musica.
Se ce ne fossimo scordati, torna evidente subito che nella dinamica dell'opera il regista ha ricevuto una spinta straordinaria dalla fotogenicita' di Chet, quella stessa che assieme alla sua musica aveva fatto scattare in lui l'idea del film, quando aveva visto le foto che il fotografo californiano Will Claxton aveva realizzato negli anni Cinquanta. Chet era davvero e interamente " cool ", dalla sua musica che sgorgava fresca all'inizio di quella magica decade per il jazz, alla sua figura elegante, con un viso che da solo era immagine di quell' eterna giovinezza che lui, nella sua percepibile essenza, avrebbe perseguito fino in fondo.
Una delle prime interviste contenute nel film non poteva che coinvolgere Richard Bock, artefice della costituzione del Gerry Mulligan Quartet e della sua etichetta Pacific Jazz che per prima lo registro'. "...Nella tromba di Chet c'erano Louis Armstrong, Bix Beiderbecke e la scintilla di Bunny Berigan..." e' l'affermazione con cui Bock inquadra il jazzista. Come non trovare in effetti nella sua musica una fantasia che si sviluppa in continuazione, il timbro fermo e rotondo di Bix e il suono argentino e fluente di Berigan ? Anche se la sua caratteristica dominante, quella che subito colpisce,affascina e lo rende unico e' proprio quella che aveva reso Bix cosi' diverso, il lirismo, che in Chet e' assolutamente straripante. Da essa scaturisce anche il suo canto, cosi' unico, così uguale al suono della sua tromba, cosi' ipnotizzante. E' Arte e qualsiasi accostamento o confronto con i trombettisti suoi contemporanei, anche quelli dotati di una tecnica superiore, per quanto possa venire spontaneo, e' esercizio assolutamente inutile. Il fine dell'arte, mai ci stancheremo di ripeterlo, risiede nel creare emozioni, sensazioni e non pura tecnica,che da sola mai e' stata e mai potra' essere tale.
Sara' proprio tutto questo che lo fara' amare, che polarizzera' l'animo di chi ascolta e di chi e' coinvolto dal suo forte carisma. Lo sceneggiatore Lawrence Trimble narra nelle sequenze che lo ascolto' dal vivo in un locale parigino, Le Chat qui Peche, e che cercando di rivolgersi a una ragazza francese seduta accanto a lui, si senti' dire "Zitto,sono innamorata di lui..." e in quel luogo o in mille altri si e' certi che lo fossero in tanti... ! Ci parla anche del modo di Chet di porsi, ingenuo, puerile,tenero, accostandolo acutamente al personaggio del film "Da qui all'eternita'", Robert E.Lee Prewitt, interpretato da un Montgomery Clift introverso, tenero, bello, trombettiere/ trombettista. Il documentario si dipana tra le parole di Chet,che risponde a domande sui vari episodi che hanno segnato la sua vita, tra momenti di sue registrazioni, tra suoi commenti e interviste alle mogli, alle compagne, ai figli,il tutto sottolineato da brani cantati come "Almost blue" , "Imagination", "My funny Valentine". Naturalmente Chet mon manca anche di soffermarsi sulle sue debolezze e sugli episodi e periodi drammatici che ne furono la conseguenza.
Chiari e scuri straordinari, come la sua vita, scene di grande naturalezza con la tromba di Chet in sottofondo : un capolavoro in bianco e nero percorso da una continua tensione verso la bellezza.
Il film venne commercializzato nel dicembre 1988. Nel maggio di quell'anno Chet, a 59 anni, si era gettato ( e' la versione piu' probabile) dalla finestra di un hotel di Amsterdam con la tromba in mano. Gli agenti avevano verbalizzato "uomo sui trent'anni": nonostante il volto devastato dalle sue debolezze, il sogno di eterna giovinezza poteva dirsi realta'.