Escape al silencio
 
 
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Recensione di Duccio Castelli

 


Un grande regista italiano, di cui non voglio fare il nome, diceva che questo film è splendido. Ma solo fino ad un certo momento della pellicola, circa a metà, e che da quel momento diventava poco meno di una trita schifezza. Esagero, ma il succo era questo.

“Escape al silencio”, del 2009, è un film molto poetico. Tutto il film.

Se un difetto vogliamo cercare, forse certe scene sono un po’ lunghe. Pellicola pluripremiata in molti Festival in varie parti del mondo.

E’ l’opera prima – realizzata con i pochi mezzi disponibili - di un giovane regista cileno, Diego Pequeno. Ragazzo semplice e intelligente, abitualmente dedicato alla camera e qui alle prese con la grande sfida della sua giovane vita, una sfida umana e artistica da cui esce certo vittorioso.

“ Escape al silencio ” significa “Fuga dal silenzio”. E significa pure “Fuga al silenzio”. E non è per caso, né per un semplice gioco di parole. E’ la storia vera (il film è un documentario, anche se ce lo fa scordare grazie alla sua accorata stesura) di un musicista di jazz, Alfredo Espinoza. La storia di questo sassofonista cileno-argentino è stata, e non solo per Pequeno, la rivelazione artistica del “Cono Sur ” ( la parte bassa del Sud America cioè Argentina Uruguay e Cile) degli anni attorno al 2000. Nel film si vive questa storia in maniera impressionistica, musicale, emozionale. La storia stessa di Espinoza sembra fatta per non essere raccontata che con dei flash, delle date che poi vanno in nulla, delle persone dai visi invecchiati e che raccontano momenti .

Le note volano tra il vento delle lenzuola stese sul Pacifico.

A Parigi, deumidificate a norma, le cave esistenzialiste non sanno più neanche di muffa.

Ma Alfredo va oltre, Alfredo c’è ancora e ci sarà.

Alfredo, leggendario e oscuro.

Questo voleva dire, e ha detto, Diego Pequeno.

               
                 
 
   
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