Dopo oltre un decennio di Big Band (vedi - Il cono d'ombra -) Louis Armstrong inizia ad essere stanco e demotivato, oltretutto la formula Big Band inizia a mostrare i segni del declino e il New Orleans Revival, che vede protagoniste le piccole band, secondo la tradizionale formula, fa proseliti negli Stati Uniti.
Sia lui che il suo manager Joe Glaser, sempre attento agli umori del pubblico, seppure tra incertezze non solo si rendono conto che un cambiamento si impone, ma ascoltando i pareri dei critici capiscono che ci si aspetta che colui che e' considerato la figura simbolo e il primo vero innovatore del jazz torni alle origini, ai fulgori delle piccole formazioni di Chicago.
Siamo nel 1947 e un primo esperimento e' già stato compiuto: nel film "New Orleans" (in Italia "La città del jazz", trama pessima, ma film eccellente sotto il profilo musicale), Louis ha suonato brillantemente con i suoi vecchi compagni di New Orleans, Kid Ory, Barney Bigard, Bud Scott, Zutty Singleton e il successo c'e' stato.
Nel frattempo aveva tenuto anche concerti alla Town All e alla Carnegie Hall e il suo nome stava tornando in primo piano.
L'idea vincente fu di formare una band composta da stelle del jazz, denominandola All Stars, cosa che si concretizzò nell'agosto di quell'anno e vide Jack Teagarden al trombone, Barney Bigard al clarinetto, Dick Cary al piano, Morty Corb al contrabbasso e Sidney Catlett alla batteria. In un secondo tempo il posto al contrabbasso fu preso dall' ottimo Arvell Shaw. In poche serate di concerti il successo degli All Stars fu totale e nel novembre successivo doveva avvenire il primo appuntamento storico, il concerto, registrato e pubblicato poi su due LP, al Symphony Hall di Boston.
E qui e' importante sgombrare il campo dall' opinione dei soliti inutili critici dell'epoca e anche da coloro che decenni dopo, sulla carta stampata, hanno dibattuto domandandosi se in effetti gli All Stars suonassero musica di New Orleans o non piuttosto degli standard di jazz classico con solo un vago profumo di New Orleans. Nonostante fosse da sempre evidente, ancora non si era forse convinti che la personalità di Armstrong non consentiva l'incasellamento in stili, e che giocoforza la presenza di musicisti formatisi in era prossima o contemporanea allo Swing avrebbe portato a un sound diverso.
Sempre tra i critici, c'e' stato poi chi ha arguito che gli All Stars fossero poco amalgamati e sfoderassero piu' che altro una serie di assoli, senza curarsi dell'effetto d'insieme.
Parole ovviamente inutili, perche' riascoltando il concerto al Symphony Hall le emozioni fioccano piu' numerose che mai, provengano dagli assoli di Louis,o dalle splendide frasi di Big T, o dal clarinetto prodigioso di Bigard o dalle continue fantasie di Syd Catlett alla batteria. Questo solo conta.
Comunque, la musica degli All Stars in quella prima straordinaria formazione significava il ritorno di Louis alle piccole band, ma non certo al jazz primigenio.
Gli eventi successivi vedono la prematura morte per infarto di Syd Catlett (e la sostituzione con il piu' grigio Cozy Cole), l'entrata in scena determinante di Earl Hines al piano, e la realizzazione di altri due album storici "New Orleans Nights" e "Satchmo on Stage".
Da ricordare,nel primo, "New Orleans Function", che diffuse in Italia la conoscenza del rituale musicale dei funerali di New Orleans.
Siamo negli anni ' 50 ed era inevitabile che la presenza in una band di musicisti e personalita' a quel livello causasse col tempo attriti interni. Vi fu quindi una diaspora e un avvicendamento che porto' a un sound un po' diverso, definito da molti piu' equilibrato e amalgamato, ma che in realta' sara' molto meno emozionante: Trummy Young ha una statura artistica ben lontana da quella di Teagarden, Bob McCracken non e' certo Bigard, Marty Napoleon non e' certo Hines, e alla batteria cominciano ad avvicendarsi figure dibasso profilo.
Ci vorra' il ritorno di Bigard e l'entrata dell' ottimo Billy Kyle al piano per dar vita a un altro degli album memorabili "Louis Armstrong plays W.C. Handy", contenente perle come "St.Louis blues", "Loveless love","Atlanta blues". In questa disamina degli All Stars non abbiamo ancora accennato a Velma Middleton, la cantante della band fin dagli inizi, artista di scarsa caratura, ma soprattutto a nostro avviso estranea all'economia del gruppo, e tuttavia discreta in questo album.
La formazione, oltre ai gia' citati, comprendeva sempre Arvell Shaw al basso, mentre alla batteria era entrato Barret Deems.
La meta' degli anni '50 vide gli All Stars impegnati anche nel repertorio piu' "leggero", dove Louis e' cantante impareggiabile, ma segna anche l'entrata in scena al clarinetto dell'eccellente Edmond Hall, dal sound personale e inconfondibile, che dara' un nuovo impulso alla band. Con questa formazione modificata nacquero gli album "Ambassador Satch" e "Satchmo the great", di cui fanno parte anche esecuzioni svoltesi in Europa, e una raccolta destinata anch'essa alla storia, quella "Musical Autobiography" dove Louis magistralmente e con feeling emozionante rivisita tutti i brani significativi della sua storia, raccontandoci, tra un brano e l'altro, dettagli di quei momenti magici.
Purtroppo nel 1958 Edmund Hall lascio' l'orchestra e subentro' l'anonimo Peanuts Hucko, assieme a un elemento che contribuira' all'inizio della decadenza del gruppo, il pessimo batterista filippino-americano DannyBarcelona.
Poi ci sara' il primo episodio cardiaco di Louis, ma il genio e' destinato a regalarci ancora, e fino all'ultimo, chicche e sorprese, con qualche altro album e il successo commerciale strepitoso di "Hello Dolly" del 1963, sempre con gli All Stars. Nel giro di pochi anni, con l'uscita di Trummy Young e la morte di Billy Kyle, la band si spegne, ma sono passati 20 anni.