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Benny Goodman
di Duncan Schiedt
Portando le valigette con i loro strumenti, i musicisti, da soli o in piccoli gruppi, emersero dalla stazione della metropolitana e scesero dagli autobus. Erano le sette in punto del mattino, e il traffico della città stava cominciando a convergere verso Manhattan. Era mercoledì 3 marzo 1937. Mentre si avvicinavano all’entrata degli artisti del Paramount Theatre, molti musicisti notarono la folla insolitamente ampia di ragazzi allineati davanti al botteghino chiuso che si allungava lungo l’isolato e oltre l’angolo. Sembrava strano, perché era un normale giorno di scuola, e molti dei ragazzini in fila sembravano essere studenti. Potevano essere tre o quattrocento. I membri dell’orchestra di Benny Goodman entrarono per iniziare le prove. Le poche centinaia di giovani arrivate prima sarebbero diventate una folla di più di quattromila al momento in cui il botteghino venne finalmente aperto alle dieci esatte. Il film, un lavoro con Claudette Colbert e Fred McMurray intitolato Maid Of Salem sarebbe stato sopportato con impazienza dall’orda di ragazzini seduti nelle prime file, sul punto di scoppiare nell’attesa. Un cinegiornale Paramount, un intermezzo d’organo e un coro col celebre organista Don Baker, seguito da un cartone animato, sembrarono al pubblico una tortura cinese. Quando il grande sipario si chiuse e le luci furono abbassate quasi completamente, ci fu un momento di calma, rotto dalle note d’apertura della sigla iniziale di Goodman Let’s Dance, al suono della quale nel teatro scoppiò un vero pandemonio, un tumulto che quasi soffocava la musica mentre l’orchestra sorgeva lentamente dalla buca sul suo montacarichi e i potenti riflettori si preparavano a rivelare quello che fino a quel momento era stato soltanto intravisto come un’ombra. I musicisti e il loro leader, un uomo di ventotto anni occhialuto e dall’aspetto mite, si resero conto che stava succedendo qualcosa di speciale. Non avevano mai visto o sentito un tale entusiasmo da un pubblico. Quando terminarono la sigla e Benny attaccò rapidamente un torrido Bugle Call Rag, all’orchestra giunse un coro ancora più imponente di applausi, fischi e battiti di piedi. In breve,coppie isolate sedute vicino ai corridoi si alzarono in piedi e cominciarono a ballare lo shag o il lindy hop, ben presto raggiunte dagli altri. La direzione del teatro, prontamente allertata dalle maschere, cercò di ristabilire un comportamento dignitoso mandando in platea gruppi di maschere in divisa, ma questa volta non era possibile controllare la folla. I ragazzi avevano preso possesso dei corridoi, e nel loro entusiasmo stavano assediando il palcoscenico, implorando Goodman per un autografo, addirittura cercando di salire sulla stessa piattaforma, cercando di raggiungere eroi come Gene Krupa, Harry James e il leader. Ma poi l’ondata si abbassò e il programma, spezzato da uno o due spettacolini di vaudeville e da un numero vocale della cantante Frances Hunt, venne portato a termine. Lo schema sarebbe stato ripetuto altre quattro volte quel giorno, sette giorni alla settimana, per una scrittura di due settimane che si sarebbe prolungata con l’aggiunta di altre tre fino alla metà di aprile. Nel frattempo, l’orchestra di Goodman onorava un ingaggio serale alla Manhattan Room dell’Hotel Pennsylvania, iniziato l’ottobre precedente. L’estasiata direzione del Paramount avrebbe venduto ventunmila biglietti al giorno. L’ingaggio sarebbe finito solo quando l’orchestra fu costretta a lasciare per impegni presi in precedenza. Pensandoci, non è difficile vedere perché proprio questo fosse, tra tutti gli ingaggi avuti fino a quel momento, un evento epocale. Era la prima volta che l’orchestra di Goodman si rendeva disponibile alla generazione che l’aveva abbracciata, aveva comprato i suoi dischi e ballato ai suoi ritmi, almeno con quel repertorio e ad un prezzo abbordabile. Trentacinque centesimi di dollaro vi avrebbero fatto sedere al Paramount, dove in teoria avreste potuto restare per tutti e cinque gli spettacoli, migliorando di volta in volta la vostra posizione in platea. Per vedere Goodman da qualche altra parte, avreste dovuto uscire di città per raggiungere un altro teatro o una sala da ballo, oppure accontentarvi di stare semplicemente, ad ascoltare una delle occasionali trasmissioni radiofoniche dal vivo da locali di lusso come il Pensylvania Hotel. Quelli che cenavano e ballavano in quell’albergo, pur apprezzando la musica e non lesinando gli applausi, erano dopo tutto relativamente pochi, e non rappresentavano i ragazzini che adoravano lo swing al punto di fare di quella musica un patrimonio del’America. Benny Goodman era arrivato lontano nel cammino che ne avrebbe fatto l’idolo di una generazione di giovani. Era nato a Chicago il 30 maggio 1909, ottavo di dodici figli, molti dei quali sarebbero diventati musicisti professionisti. Suo padre, pienamente favorevole all’educazione musicale, fece in modo che Benny prendesse a dieci anni lezioni di musica classica nella locale sinagoga. Egli avrebbe continuato gli studi nel famoso centro sociale di Hull House, dove tra i suoi insegnanti ci sarebbe stato Franz Schoep, che preparò anche i celebri clarinettisti neri Jimmy Noone e Buster Bailey. Benny, la cui precocità è testimoniata dal fatto che entrò nel sindacato musicisti alla tenera età di tredici anni, non avrebbe mai smesso di migliorarsi dal punto di vista della musica, studiando con Reginald Kell ancora nel 1949, ed esercitandosi continuamente sia a casa sia in viaggio. Conosciuto tra molti dei più intraprendenti musicisti di Chicago come “ il ragazzino in pantaloni corti” che suonava in uno stile sorprendentemente maturo, Benny entrò abbastanza presto nei giro del jazz. Nel 1923 suonava già sui battelli che portavano gli escursionisti sui Grandi Laghi (dove incontrò per la prima volta Bix Beiderbecke) e nelle orchestre di Jules Herbevaux e Arnold Johnson. Stette a lungo con il direttore Art Kassel ai Midway Gardens di Chicago, poi gli venne offerta l’opportunità di unirsi all’orchestra di Ben Pollack per prendere il posto del sassofonista Fud Livingston. Raggiunse la band in California, tornando con loro nel 1926 a Chicago, dove incise con Pollack il suo primo disco destinato alla pubblicazione nel dicembre del 1926. Il lavoro non era sempre regolare, nonostante l’altissimo livello dell’orchestra, così Benny lavorava come indipendente con altre formazioni locali. Nel marzo del 1928 l’orchestra di Pollack iniziò un ingaggio al Little Club di New York, suonò ad Atlantic City durante l’estate e in autunno cominciò una lunga collaborazione col Park Central Hotel di Manhattan. Per un certo periodo lavorò contemporaneamente anche come orchestra in buca in uno spettacolo di Broadway. Pollack, che era un batterista, a quel punto passò le percussioni al musicista di New Orleans Ray Bauduc e si accollò il lavoro di direttore della propria orchestra, cantando di tanto in tanto con uno stile magari non memorabile, ma almeno dignitoso. Goodman e i suoi colleghi dell’orchestra, tra i quali l’amico Jimmy McPartland, il trombonista e arrangiatore Glenn Miller, Fud Livingston e il fratello Harry Goodman al contrabbasso, in quel periodo erano profondamente inseriti in quel vortice di registrazioni discografiche a New York alla fine degli anni Venti. Accanto ad un intensissimo programma di incisioni previsto dal contratto di Pollack con la Victor, erano richiesti con insistenza per molte sedute di registrazioni di piccoli gruppi sotto una gran varietà di pseudonimi: The Woopee Makers, The Ipana Troubadours, Goody and his Good Timers, the Hotsy Totsy Gang e Mills Musical Clowns sono solo alcuni dei nomi che apparvero sulle etichette dei dischi in quell’anno, prima che l’industria discografica cominciasse a vacillare sotto l’urto della radio e del crollo borsistico del 1929. Nel giugno del 1928 all’orchestra si unì una voce gigantesca quando vi entrò Jack Teagarden. Le apparizioni di Benny Goodman sui dischi e alla radio riempirebbero più di un grosso volume, in effetti egli fu uno dei musicisti più richiesti del suo tempo: eccellente lettore, affidabile, e in possesso di un suono superlativo sul suo strumento. Abilissimo col clarinetto, suonava con destrezza i sassofoni contralto e baritono, anche se lo si ascolta solo di rado suonare in assolo quegli strumenti. Tra le orchestre con cui ha lavorato alla fine degli anni Venti a all’inizio dei Trenta vi sono quelle di Don Voorches, David Rubinoff, Ted Lewis, Paul Whiteman, Andrè Kostelanetz e in particolare quella di Red Nichols. Con Nichols ha realizzato memorabili registrazioni di classici dl jazz sotto il nome di “ Five Pennies” e di “ The Louisiana Rhythm Kings”. Tra i suoi colleghi in questi dischi ci sono musicisti del valore di Miff Mole, Carl Krees, Glenn Miller, Dave Tough, Bud Freeman, Charlie Teagarden, Joe Sullivan, Adrian Rollini e Gene Krupa. Per un certo periodo alloggiò col collega clarinettista ( e rivale fraterno) Jimmy Dorsey. Si racconta che quando il telefono suonava per portare un’offerta di lavoro, prendeva l’ingaggio quello che aveva alzato il ricevitore! Nel 1933 il suo cammino incrociò quello di un ricco appassionato di jazz che scriveva per pubblicazioni jazzistiche negli Stati Uniti e all’estero, John Hammond. Hammond, che sarebbe poi diventato cognato di Benny quando Goodman sposò sua sorella Alice, era un attivo promotore di registrazioni discografiche con orchestre di jazz in un momento in cui l’interesse per il jazz negli U.S.A era al suo livello più basso. Sapendo che in Europa c’era una forte passione nei confronti del jazz americano, Hammond agì da intermediario per molte compagnie discografiche d’oltre Oceano. Poco entusiasta all’inizio dell’idea di fare dischi destinati ad essere pubblicati solo all’estero, Benny la scartò per un po’ poi, con una seduta in ottobre che metteva in evidenza Teagarden in qualità di trombonista e di cantante, iniziò una serie di quattro facciate di disco a proprio nome, pubblicate contemporaneamente dall’American Columbia. I due Teagarden (il trombonista e il trombettista) a quell’epoca erano sotto contratto con Paul Whiteman; Gene Krupa stava lavorando con diverse grandi orchestre nell’Est, mentre Joe Sullivan aveva lavorato per l’orchestra di Roger Wolfe Kahn che si esibiva negli alberghi. Ci sarebbe voluto ancora un anno prima che Benny mettesse insieme la propria orchestra, ma ci furono parecchie sedute di incisione sempre per la Columbia, in cui non mancavano mai l’intuito e l’energia di Hammond. La prima, il 24 novembre 1933, fu una seduta con la celebre Bessie Smith (l’ultima in assoluto, per lei) accompagnata da “ Buck and His Band”, apparentemente diretta dal pianista e ballerino Ford “Buck” Washington, della compagnia Buck and Bubbles. Ai musicisti neri Frank Newton, tromba, e Leon “ Chu” Berry, sax tenore, Bobby Johnson, chitarra, e Billy Taylor, contrabbasso, si aggiunsero Jack Teagarden e Benny. I quattro brani, tra i più commoventi ed espressivi mai incisi dalla grande Bessie, sono ideali per mantenerne vivo il suo ricordo. Tre anni dopo, nello stesso studio, Benny ed un gruppo un po’ diverso accompagnarono gli sforzi vocali della veterana Ethel Waters e un solo brano cantato dall’allora sconosciuta Billie Holiday, che Hammond aveva ascoltato ad Harlem. La canzone del suo debutto era Your Mother’s Son-in-Law, e lei aveva appena quindici anni. Non si sa cosa avesse pensato di lei in quel momento Ethel Waters, ma si racconta che più tardi avesse sostenuto che la Holiday aveva cantato come se le sue scarpe fossero state troppo strette! Il 2 febbraio 1934, Benny, con una formazione ancora diversa ( in cui era anche Krupa) registrò quattro facciate, tre delle quali con la cantante Mildred Bailey. Era degna di nota la presenza del formidabile sassofonista di Fletcher Henderson, Coleman Hawkins. Nella primavera del 1934, Goodman radunò finalmente un’orchestra che poteva dire propria. Prese parte con successo ad un’audizione per un lavoro come orchestra fissa in un nuovo club ristorante di Manhattan chiamato “ Billy Rose’s Music Hall” ricavato da un teatro ristrutturato di Broadway. L’orchestra contava tredici elementi ( tre trombe, due tromboni, quattro sassofoni e quattro ritmi) più una cantante. Per l’audizione la cantante Helen Ward aiutò a piazzare l’orchestra, ma ci vollero dei mesi prima che potesse entrarvi stabilmente. L’ingaggio durò fin quasi alla fine dell’anno, con una continua attività discografica per la Columbia, per cui era utilizzata la dizione “Music Hall” nel nome dell’orchestra. Nel frattempo, Benny e Hammond, incoraggiati dalle vendite dei dischi oltre Oceano, progettarono una tournèe europea con un’orchestra “ di sogno”, composta da musicisti quali i trombettisti Red Allen, Doc Cheatham, Bill Coleman e Charlie Teagarden; i trombonisti Jack Teagarden, J.C. Higginbotham e Will Bradley; i sassofonisti Benny Carter, Edgar Sampson e Chu Berry; e una sezione ritmica con Teddy Wilson, Red Norvo, il chitarrista Lawrence Lucie, il contrabbassista Hank Weyland e Gene Krupa. Come cantante avevano in mente niente meno che l’immortale Bessie Smith. Purtroppo l’idea non poté essere realizzata per problemi con l’impresario inglese. La grande occasione per Goodman venne con l’inizio di un programma radiofonico in tarda serata intitolato “ Let’s Dance”, che era sponsorizzato da una fabbrica di biscotti ed era mandato in onda per tre ore ogni sabato notte. Vi prendevano parte altre due orchestre: quella di Xavier Cugat, che forniva i ritmi “ latini” dei Caraibi e un’orchestra “ leggera”, riunita dal violinista Kel Murray ( il cui vero nome era Murray Kellner). Il lavoro che Benny cercava, quello dell’orchestra “hot”, non arrivò con facilità. Dovettero sottostare ad un’audizione nello studio della NBC in concorso con altre orchestre, e vinsero per un solo voto. Le trasmissioni, che comprendevano anche la ripetizione dei brani per la costa occidentale, duravano cinque ore. Recenti ricerche indicano che tutte e tre le orchestre suonavano in qualunque ora, contrariamente a quanto si è creduto a lungo che Goodman avesse sempre a disposizione l’ultima, la migliore. Lo show fu messo in onda per la prima volta il primo dicembre del 1934 e continuò fino a 25 maggio 1935. Per l’orchestra fu una lunga e, come Benny avrebbe presto scoperto, fruttuosa esposizione. L’evidente contrasto stilistico offerto dalle tre orchestre diede a Goodman e ai suoi uomini la possibilità di presentare una musica che aveva un ritmo solido e implacabile, arrangiamenti ben costruiti e tempi vivaci, le nuovissime idee di un gruppo di arrangiatori erano le benvenute, con i contributi di Fletcher ed Horace Henderson, Joe Lippman, Dean Kincaide, Spud Murphy, Jimmy Mundy, Mary Lou Williams, Edgar Sampson, Fred Norman e Claude Thornhill, che parteciparono tutti alla creazione del repertorio di Goodman. Il risultato del loro lavoro, e il modo in cui l’orchestra lo eseguiva secondo il volere di Goodman, sarebbe stato salutato dalla stampa musicale col nome di “Swing”. Non importa che altre orchestre, soprattutto nere, avessero suonato praticamente lo stesso genere di musica per anni: fu Goodman a godere della presenza alla radio e dei favori della stampa. Lo Swing fu sia uno stile che un’epoca. Quando la serie finì, l’orchestra venne scritturata all’Hotel Roosevelt, a New York. Fu un disastro: un’orchestra che aveva uno swing infuocato messa a suonare in una sala in cui direzione e clienti erano abituati alla musica soporifera di Guy Lombardo! L’orchestra fu precipitosamente cacciata in strada, ed essi non avrebbero rivisto New York per quasi dieci mesi. Per Goodman, sarebbero stati tra i mesi più importanti della sua vita. Durante i mesi della programmazione radiofonica, Goodman rimaneggiò accuratamente il personale dell’orchestra finché non fu certo di avere la combinazione vincente. Tra le trombe c’era l’ispirato Bunny Berigan, il pianista era l’affidabile Jess Stacy, Allen Reuss forniva un eccellente sostegno ritmico con la chitarra, Krupa era un batterista che eccitava le folle e tra i sassofonisti c’erano Hymie Schertzer e Art Rollini. Con grandi speranze e credendo in quello che facevano, gli orchestrali suonarono in alcuni locali degli stati vicini del Midwest, poi per un ingaggio di tre settimane nella popolare sala da ballo di Denver all’Elitch’s Gardens. Sfortunatamente per Goodman, questa era una sala da ballo “ a tassametro”, nella quale si dovevano suonare pezzi cortissimi dopo i quali i clienti dovevano presentare un altro biglietto per continuare a ballare con l’hostess del momento. Questa situazione si scontrava radicalmente con il repertorio di Benny, e l’orchestra fu sul punto di essere licenziata. Lo stesso Benny era pronto a interrompere il giro, perché non avevano avuto da nessuna parte segni di entusiasmo per la loro musica. Alla fine accettarono di scendere a compromessi e fornirono i brevi segmenti desiderati di valzer e foxtrot, suonando arrangiamenti estemporanei elaborati in gran fretta, arrivando anche a dividere l’orchestra in due gruppi per diminuire il carico di lavoro e semplificare l’impegno di “ copiare” canzoni che non facevano parte del loro repertorio. Poi la band cercò di farsi largo in California, dove trovarono la salvezza alla Palomar Ballroom di Los Angeles. Fu il primo decisivo successo del tour. L’enorme sala da ballo era affollata da ragazzini che non aspettavano altro, molti dei quali se ne stavano semplicemente fermi davanti al palco ad applaudire, mentre i loro amici si lanciavano in danze acrobatiche fino all’esaurimento delle forze. Questo trionfo improvviso fu presto spiegato: il programma “Let’s Dance” irradiato sulla costa occidentale aveva raggiunto un pubblico vastissimo in prima serata. Le cose si mossero in fretta e la stampa strombazzò ai quattro venti quale forza d’urto avesse l’orchestra. Il tour finì ed essi si fermarono finalmente al Congress Hotel di Chicago con un contratto di due settimane. Ci sarebbero restati sei mesi, beneficiando in più di una salutare esposizione alla radio. Poi tornarono a New York e accettarono una scrittura al Pennsylvania Hotel, dove i critici, la stampa e le radio specializzate e le riviste più prestigiose dedicarono la propria attenzione alla sensazionale novità del mondo della popular music. Non ci volle molto perché qualcuno nell’onda della pubblicità inventasse il titolo di “ Re dello Swing”, titolo che Benny portò per tutta la vita. Una cosa andrà sempre ad onore di Goodman, riconobbe il talento ovunque si trovasse, indipendentemente da colore della sua pelle. La tecnica e l’abilità di lettura erano importanti, ma lui poteva fare un’eccezione quando era particolarmente attratto dallo stile o dal suono di un musicista. Riguardo all’assumere musicisti di colore, Benny applicò sempre gli stessi standard, e l’uso di Coleman Hawkins in una delle sue prime sedute di registrazione fu un’anticipazione della seguente assunzione di Teddy Wilson e Lionel Hampton. L’aggiunta di Wilson rese possibile la duratura escursione di Goodman nel territorio del “jazz” da camera”, che cominciò con un trio in cui accanto a lui c’erano Wilson e Krupa e poi si allargò ad un quartetto con l’aggiunta dell’effervescente Lionel Hampton al vibrafono. Più avanti sarebbero venuti i quintetti e i sestetti, man mano che arrivavano nuovi musicisti dal suono inimitabile. Tra i primi dischi della lunga serie realizzata da Goodman per la Victor vi furono le registrazioni del trio. Hampton sarebbe stato tirato via poco dopo dal suo lavoro in un’orchestra che suonava a Los Angeles per diventare un importante membro dell’orchestra, trovandosi talvolta a sostituire il batterista titolare, ma restando sempre un esecutore estremamente colorito n qualunque ruolo gli venisse affidato. Anche Krupa era un uomo di spettacolo, che alla batteria aveva uno stile scintillante, con un ciuffo di capelli agitato selvaggiamente sulla fronte mentre canticchiava inarrestabile fissando gli occhi sulla batteria che gli stava davanti, le spalle ingobbite, quasi fosse posseduto dal demonio. Wilson, l’opposto di Krupa, sedeva quietamente al pianoforte, suonando ad altissima velocità con tranquillo distacco, affrontando i tempi più veloci come se passeggiasse, e lasciando che solo di tanto in tanto gli illuminasse il viso il più puro dei sorrisi. Quei momenti possono essere stati i più soddisfacenti per lo stesso Goodman, le cui predilezioni classiche lo portavano verso i gruppi cameristici, nei quali dava il meglio di sé. Anche se non avesse fatto altro, sarebbe stato onorato nella storia del jazz per le sue registrazioni con i piccoli gruppi. La stessa orchestra rifletteva il carattere del leader, era un gruppo perfettamente disciplinato che “ swingava” come un sol uomo, con un lavoro di sezione estremamente pulito, tempi vivaci (di Goodman si dice che avesse una perfetta sensibilità per il giusto tempo), un senso di “ calore” jazzistico che non cadeva mai nel sentimentalismo o nel cattivo gusto. Non c’erano trombe stridenti o sassofoni gutturali nelle esibizioni di Goodman, sebbene Krupa, solo tra i musicisti, venisse lasciato a briglia sciolta per il fascino che esercitava sul botteghino. Un altro solista in grado di portare quasi al parossismo un uditorio era il trombettista Harry James, ottenuto nel gennaio del 1937 dalla Ben Pollack Band. Krupa, James, Goodman e il pianista Jess Stacy sono gli eccitanti solisti che portarono l’incendiaria Sing, Sing, Sing all’immortalità. Benny Goodman, che non si allontanò mai molto dalle inclinazioni classiche della sua formazione, deve aver abbracciato con entusiasmo l’idea di un concerto alla Carnegie Hall nel 1938. Prima di allora nessuna orchestra di popular music aveva mai invaso quel sacro edificio. Al concerto del 1938, fortunatamente ( e segretamente ) registrato e poi pubblicato sui dischi long playing molti anni dopo per la soddisfazione di un pubblico famelico, l’orchestra era in uno dei suoi periodi più notevoli, e in più vi si erano aggiunti alcuni illustri musicisti ospiti provenienti dalle orchestre di Ellington e di Bassie. Fu in quella occasione che Benny incontrò la sorella di Hammond, Alice, che avrebbe sposato quattro anni dopo con un matrimonio che fu lungo e felice, e diede a Benny una vera casa e una famiglia. Gli anni passarono, e altri leader raggiunsero la testa delle classifiche di popolarità: Artie Shaw, che rivaleggiava con Benny nell’agilità tecnica al clarinetto e nella bellezza del suono; Glenn Miller, antico collega, il cui definitivo successo ottenuto con una mescolanza di swing e di dolcezza spazzò via quanto a popolarità ogni altra orchestra; e formazioni formidabili come quelle di Woody Herman, Charlie Barnet, Claude Thornhill, e di ex musicisti di Goodman come Krupa e James. Non possiamo nemmeno evitare di accennare alle magnifiche orchestre nere di quel periodo, alcune delle quali erano nate prima di quella di Goodman, che però non ebbero la possibilità di raggiungere i livelli di guadagno delle maggiori orchestre bianche. Uno sguardo ai sondaggi annuali di popolarità condotti dalle pubblicazioni specializzate in jazz può mostrare lo stato dell’atteggiamento del pubblico e lo stato dell’industria musicale del tempo. In quei sondaggi orchestre come quelle di Larry Clinton o di Glen Gray, addirittura quelle di Hal Kemp o di Kay Kyser, potevano surclassare ben più solide orchestre nere come quelle di Andy Kirk, Claude Hopkins, Cab Calloway o Duke Ellington. Ci sarebbero voluti anni prima che i sondaggi di popolarità arrivassero a riflettere una valutazione più onesta e valida. Benny continuò a fare quel che gli riusciva meglio. Verso la fine degli anni trenta fu presentato in una lunga serie radiofonica, la “ Camel Caravan”, che veniva trasmessa settimanalmente da qualunque locale in cui la band fosse stata scritturata e alla quale prendeva parte il giovane e dotato Johnny Mercer in qualità di cantante e annunciatore a mezzo servizio. Questa serie fu salutata come il primo autentico programma jazz settimanale sponsorizzato e trasmesso da una rete importante, e durò quasi diciotto mesi. Nel maggio del 1939 il lungo contratto con la Victor finì, e Benny ( senza dubbio influenzato da Hammond) firmò con la sua precedente etichetta, la Columbia, iniziando a registrare in agosto. Uno dei più importanti volti nuovi a quell’epoca era il chitarrista Charlie Christian, che quasi dal giorno alla notte rivoluzionò il modo di suonare lo strumento. Più avanti sarebbe stato raggiunto nel sestetto di Goodman dalla stella della tromba di Duke Ellington, Cootie Williams. Il sestetto apparve a Broadway in un ambizioso musical basato sulla commedia di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate. Nel cast c’erano anche luminari quali Louis Armstrong, la cantante Maxine Sullivan e la giovane attrice Dorothy McGuire. Ma “Swingin’The Dream” avrebbe chiuso il sipario dopo solo tredici repliche. Le apparizioni cinematografiche di Benny furono più fruttuose. Un cortometraggio Vitaphone realizzato nel 1929 con l’orchestra di Pollack offre una vista affascinante delle giovani future stelle Goodman, Jack Teagarden, Jimmy McPartland e Ray Bauduc; ma si doveva arrivare al 1936, perché l’orchestra assaporasse finalmente il successo, prima che Hollywood desse un nuovo segnale. Non ci fu che poco tempo davanti alla macchina da presa per “The Big Broadcast” of 1937, in cui c’erano Bing Crosby e la coppia teatrale di Burns and Allen. Tuttavia, nel film seguente, Hollywood Hotel, protagonista Dick Powell, l’orchestra ebbe un’esposizione eccellente, quanto il quartetto. Film posteriori, girati durante la guerra, furono meno interessanti; un ruolo particolarmente insoddisfacente per Benny fu quello di uno dei quattro noiosi professori conservatori che si svezzavano passando dalla musica classica al jazz nel film del 1948 “A Song Is Born“(Venere e il professore). Gli anni Quaranta, nonostante il blocco delle registrazioni discografiche iniziato nel 1942, per Benny furono ricchi di impegni. Da tempo non era più alla testa del gruppo, ma era sempre molto ammirato come leader e come strumentista. La sua orchestra “ Columbia” aveva catturato il profumo di nuovi arrangiatori, in particolare di Eddie Sauter. Molti lo videro come un miglioramento rispetto al vecchio suono; altri ne furono costernati. Gli arrangiamenti di Henderson facevano sempre parte del repertorio, e Fletcher era spesso sul libro paga, cosi la band poteva soddisfare ogni sera entrambi gli schieramenti. Quando il tempo lo permetteva, Benny si rivolse sempre di più all’interpretazione di musica classica. Incise dei dischi ben pubblicizzati con il Quartetto d’archi di Budapest e con trio che oltre a lui comprendeva il violinista Josef Szigeti e il pianista-compositore Bèla Bartòk. Cominciò anche a collaborare con formazioni concertistiche. Per molti il suono del suo clarinetto aveva guadagnato una nuova purezza mentre perdeva qualcosa del suo profumo jazzistico. Tuttavia, come mostrano i suoi ultimi dischi e i lavori per la televisione, Benny poteva ancora tirar fuori qualche ritornello “ sporco” quand’era il momento giusto. In seguito si sarebbe accomodato nel confortevole ruolo di anziano rappresentante ufficiale dello Swing, continuando ad attrarre un gran numero di persone che vedevano in lui un riflesso della propria gioventù, quando era facile ballare le vorticose danze del jazz, quando un nichelino comprava una canzone nel jukebox e le radio suonavano dappertutto quel genere di musica. Mantenendo raramente a lungo una propria orchestra, riunì il maggior numero possibile di “ vecchie glorie “ per tenere dei concerti, si ritrovò con vecchi colleghi per spettacoli televisivi e portò all’estero delle orchestre per un gran numero di viaggi propagandistici sponsorizzati dal governo. Benny, che sopravvisse otto anni alla moglie , mantenne un appartamento a New York, dove morì tranquillamente il 13 giugno 1986. Che dire dell’uomo? Goodman sembra aver passato la maggior parte della sua vita cercando di raggiungere il livello più alto, anche se il jazz non era del tutto il suo obiettivo definitivo. Fu, come Ellington, parte della propria orchestra, ma nel contempo se ne stava da parte. Molta gente che non gli era intima lo trovava freddo, lontano, spesso distaccato. Altri, compresi alcuni dei suoi musicisti, ammisero che era incline a lasciare vagare i suoi pensieri, restando però sempre un buon compagno e un buon capo. Quale che sia l’immagine privata che la gente poteva essersi fatta di lui, per quelli che vissero con lui, la sua vita rimane un messaggero di gioia, una sorta di Pifferaio Magico dello Swing, che diresse una meravigliosa orchestra attraverso alcuni anni importanti e le cui sigle, “Let’s Dance” che era quella d’apertura e l’agrodolce “Goodbye” usata in chiusura, parlano per un’intera generazione in una lingua che sembra senza età.
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