Fats Waller
 
 
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Fats Waller

 

 


di Duncan Schiedt

 

 


Ha suonato nelle cantine della famosa Cinquantaduesima strada di New York, ha suonato in depositi di tabacco greggio degli stati del Sud, ha suonato nelle dimore dell’alta società di Long Island e di Park Avenue. Ha suonato alla Carnegie Hall. È e stato ascoltato negli appartamenti di Harlem in cui ci si andava a “divertire” , e dopo lo spettacolo nei grandi teatri metropolitani, dove le melodie dei grandi organi affascinavano i lavoratori della notte. Il suo brillante stile pianistico e la sua voce inimitabile nel canto sono stati ascoltati da milioni di persone nei dischi e alla radio. È stato tra i primi artisti di jazz ad apparire in televisione. Fats Walzer, che un critico ha definito “ una macchina del ritmo”, era anche un supremo melodista, e le sue tenere canzoni sono diventate parte della scena musicale popolare d’America (fino ad ora sono state identificate oltre quattrocento composizioni). Il suo impatto su quella scena, che ebbe inizio nei primi anni Venti, avrebbe raggiunto il culmine nel maggio del 1934, quando iniziò una storica serie di registrazioni per la Victor Company. La cosiddetta Swing Era stava per esplodere in tutto il paese, e per una volta, egli sarebbe stato così popolare da vendere più di ogni altro artista di quella etichetta, con la sola eccezione di Benny Goodman. Anche ai nostri giorni, a più di sessant’anni dalla sua scomparsa, la sola menzione del suo nome in molte parti del mondo suscita ricordi immediati e grandi sorrisi. Suonare ancora i suoi dischi non fa altro che confermare quanto il suo stile fosse senza tempo e quanto lo si rimpianga. bixCominciò la sua vita a New York City, settimo figlio di dieci nati ad Edward e Adeline Waller, che erano emigrati dalla Virginia. Sei di quei bambini sarebbero morti nell’infanzia e poco dopo, e di quelli che sopravissero nessuno sarebbe diventato vecchio. Nessuno avrebbe vissuto una vita simile a quella del giovane Thomas, la cui pesante corporatura si sviluppò presto guadagnandogli il soprannome di tutta la vita, “Fats”. Sua sorella Naomi, descrivendolo com’era da ragazzo, disse semplicemente che era “come veder arrivare u mucchio di qualcosa”. Nel 1904, quando Fats era nato, Harlem stava diventando il rifugio delle famiglie nere affollate nel brulicante West Side di Manhattan, variamente chiamato “la giungla” o “la collina di San Juan”, in riferimento al famoso campo di battaglia della recente guerra ispano-americana. Harlem (nome di origine olandese) all’inizio era una terra di fattorie, poi era stato pesantemente sviluppato alla fine dell’Ottocento da speculatori che speravano di attirare le famiglie bianche del centro città. Per loro sfortuna, gli attesi compratori non arrivarono, e per evitare il disastro gli affitti vennero offerti a chiunque desiderasse trasferirsi. Il posto tranquillo e gli edifici relativamente nuovi a prezzi moderati parvero una benedizione, e i neri, guardati con sospetto dal vicinato bianco, spesso ostile, del centro, vi si trasferirono in massa, portando con sé le proprie chiese. Una importante congregazione era quella della Chiesa Battista Albissina, di cui la famiglia Waller era praticante e dove il padre di Fats serviva in qualità di diacono. Si racconta che il giovane Thomas, avendo sviluppato un orecchio naturale per la musica, abbia accompagnato suo padre nelle prediche tenute agli angoli delle strade, suonando un piccolo organo ad ancia portatile durante il canto degli inni. A scuola, Fats divenne in fretta una figura popolare, e in seguito entrò nell’orchestra dopo aver raggiunto una certa capacità di lettura. Tra i suoi compagni di scuola alla Public School 83 c’erano due futuri grandi del jazz, Benny Carter ed Edgar Sampson. Ma era Fats che, appena adolescente, poteva trascinare gli studenti ad applaudire battendo mani e piedi nelle riunioni, quando veniva il suo momento di suonare un assolo. Guadagnava un po’ di soldi facendo le consegne per i fratelli Immerman, che gestivano una specie di salumeria. Un’attività parallela era la vendita di liquore fatto in casa che, poiché sfuggiva alla tassazione, era un prodotto popolare, sebbene illegale. Fats, con i suoi vestiti sformati e l’aspetto bonaccione, poteva nascondersi addosso bottiglie senza suscitare alcun sospetto. Evidentemente anche i suoi genitori non sospettavano niente, credendo che le sue consegne fossero d’altra natura. Tra gli amici del quartiere, Fats ebbe la possibilità di incontrare un uomo che aveva tredici anni più di lui ed era già una forza tra i musicisti di Harlem. Il suo nome era James P.Johnson, un veterano dei circuiti musicali della parte orientale degli Stati Uniti che aveva viaggiato molto e conosceva il mondo. Johnson, con altri pianisti della sua generazione, tra i quali Jelly Roll Morton, stava per fornire una sorta di ponte tra una musica piuttosto stilizzata allora immensamente popolare, il ragtime, e lo stile più libero e rivolto ad una più ampia creatività interpretativa che caratterizza il jazz. Era il più importante tra i pianisti che suonavano nello stile chiamato “stride” (passo, andatura), un modo di suonare che impegnava entrambe le mani nella costruzioni di serrate strutturate accordali, dove la sinistra proponeva uno schema alternante singole note di basso (o ottave) e, nel tempo seguente della battuta, un accordo corrispondente suonato nella parte più centrale della tastiera, creando così un movimento simile a quello di un passo dopo l’altro, e fornendo anche, come nel ragtime, un robusto sostegno all’attività melodica della destra. Lo stride piano era stato concepito per essere eseguito dal solo pianoforte, in modo che si potesse udire sopra folle rumorose in una taverna o durante una festa, fornendo da sé il proprio robusto accompagnamento ritmico. Differiva dal ragtime per la libertà che offriva di creare illimitate variazioni sul tema, incorporando elementi diversi come il blues, canzoni popolari e speciali “vezzi” che ciascun pianista sviluppava per distinguere il proprio stile da quello degli altri. Inoltre, come tutto il buon jazz che sarebbe venuto dopo, aveva swing, e Johnson sapeva swingare. Qualcosa nel giovane Waller colpì Johnson, ed egli lo prese sotto la propria ala, presentandolo in seguito ai molti altri pianisti del suo giro, compreso il temibile Willie “The Lion” Smith, formidabile talento e compositore di brani solistici estremamente originali che entro pochi anni sarebbe stato l’ispiratore del giovane Duke Ellington. Fats imparò la famosa composizione di Johnson Carolina Shout, e l’avrebbe eseguita per buona parte della propria vita come tributo all’amico. Fats era un allievo volonteroso e veloce, e già nel 1920, solo sedicenne, suonava da professionista nei club locali e , cosa piuttosto importante per il suo futuro, trovò un impiego come organista in un teatro del vicinato, il Lincoln. Qui si potevano trovare quasi sempre in prima fila i suoi amici della P.S. 89, impegnati ad applaudirlo mentre suonava durante gli intervalli e accompagnava le immagini tremolanti sullo schermo- talvolta in maniera appropriata, ma spesso senza adeguarsi all’atmosfera del film. Uno dei suoi ammiratori, che se ne stava praticamente seduto ai suoi piedi nella buca del teatro per osservarne la tecnica, era Bill Basie, una ragazzo più giovane di lui che veniva da Red Bank, nel New Jersey, e non aveva ancora guadagnato il suo soprannome di “Count”. Alla morte di sua madre nel 1920, Fats fu quasi inconsolabile. Lasciò casa sua e andò ad abitare con la famiglia di una amico pianista. Più tardi si sposò con una ragazza del vicinato, Edith Hatchett, e il loro figlio Thomas Jr. nacque l’anno seguente. La giovane coppia, prima di avere un proprio appartamento, abitò con i genitori della sposa. Ma lo stile di vita di un musicista non era proprio quello che Edith o i suoi avevano previsto. Quello che loro consideravano irresponsabile, per Fats era una strada necessaria per la sua carriera. Il matrimonio era destinato a finir male, e le conseguenze lo avrebbero ossessionato per tutta la vita. La sua carriera discografica cominciò nell’ottobre del 1922, con un paio di pezzi per solo pianoforte, su etichetta OKeh, la cui registrazione fu organizzata da un nuovo amico, Clarence Williams, che vide nel giovane Waller un talento commercialmente promettente e un potenziale partner nella scrittura di canzoni. In dicembre Fats accompagnò l’affermata cantante di Blues Sara Martin in quattro canzoni. Stava già cominciando a suonare fuori città, girando con un gruppo teatrale che si chiamava “Liza and Her Shufflin Six”, dove “Liza” era in realtà la cantante Katie Crippen. Seguirono numerosi accompagnamenti per cantanti, mentre Fats si divideva tra gli ingaggi serali ad Harlem e l’attività negli studi di registrazione di Manhattan durante il giorno, lavorando per parecchie compagnie discografiche. Alla metà del 1924, Fats aveva incontrato, e cominciato a collaborare con lui nell’attività compositiva, un altro giovane e ambizioso amico, Andy Razaf, al quale il suo nome sarebbe stato legato per sempre nella cerchia degli autori di canzoni. bixMa prima, Clarence Williams avrebbe condiviso la firma con Waller su brani quali Squeeze Me (basato su una canzonaccia oscena, Boy In The Boat) e Wildcat Blues, che Williams registrò con i suoi Blue Five per la OKeh. Fats seguì anche le tracce musicali di James P.Johnson, realizzando un certo numero di rulli di pianola per la QRS. Alla fine degli anni Venti, Fats ed Andy Razaf iniziarono a vendere sempre di più le loro canzoni agli altri editori musicali del centro di New York. Ciascuno era estremamente prolifico per la propria parte, Razaf, un poeta, sapeva cogliere dall’aria attorno a loro versi e rime, mentre Fats era un fonte apparentemente inesauribile di melodie. Insieme, quando presentavano la loro ultima creazione ad un editore impegnato a masticare un grosso sigaro, erano quasi irresistibili. Razaf, ricco di risorse, sapeva cantare in modo convincente, mentre il dinamico pianoforte di Waller ipnotizzava gli editori dalla testa più dura, che non erano mai del tutto sicuri che un concorrente non avesse appena pagato a quei ragazzi cinquanta dollari per lo stesso pezzo meno di mezz’ora prima. Fats strinse anche una buona amicizia con Fletcher Henderson e con suo dotato arrangiatore Don Redman, ed entrambi qualche anno dopo confermarono che in più di una occasione Fats aveva offerto qualcuno dei suoi pezzi originali per un semplice piatto di minestra. Che abbiano tratto qualche vantaggio dall’offerta di Fats, o no, resta il fatto che l’orchestra di Henderson registrò alcune delle composizioni di Waller e di tanto in tanto utilizzò Fats al piano e all’organo. Alla Roseland Ballroom, Henderson lasciava spesso il seggiolino del pianoforte a Fats, se capitava che questi ci facesse un salto. Si racconta che ci fosse Fats al pianoforte la notte in cui le orchestre di Henderson e di Jean Goldkette si sfidarono ad una battaglia musicale nella grande sala da ballo. Il problema degli alimenti alla moglie fu una quasi costante spina nel fianco di Fats, che può aver suggerito più di un volo fuori da New York per suonare in città come Philadelphia o Chicago. In quest’ultima città, nel 1927, si esibiva all’organo nei teatri Metropolitan e Regal, e per un po’ suonò di fronte al sensazionale Earl Hines nell’Erskine Tate Orchestra al Vendome Theatre. Nel gruppo c’era anche Louis Armstrong, che così raddoppiava il lavoro che lo impegnava già al Sunset. Verso la fine del 1926 prese il via la collaborazione con la prestigiosa etichetta discografica Victor, con la registrazione di un paio di brani organistici nel loro studio di Camden, una chiesa sconsacrata che aveva un ottimo organo a canne. Nei dodici mesi seguenti, avrebbe inciso una serie di brani per solo organo, accompagnato Alberta Hunter ed altre cantanti, e poi suonato sia il pianoforte sia l’organo con un’orchestra jazz dal cornettista Thomas Morris. Tra alcune di queste sedute di registrazione ci fu la trasferta a Chicago, che sembra aver avuto termine quando Waller venne riportato a New York per rispondere all’accusa di mancato pagamento degli alimenti. Fu condannato alla prigione, ma la sentenza fu sospesa dietro promessa di pagamento. L’anno seguente (1928) non se la sarebbe cavata cosi facilmente, ma avrebbe passato qualche mese dietro le sbarre. Tuttavia, Fats e Andy avrebbero fatto un altro passo sulla via del successo. La coppia di teatranti Miller & Lyles, che erano stati le stelle del famoso spettacolo “Shuffle Along” nei primi anni Venti, erano nel cartellone di una nuova rivista musicale, “Keep Shufflin”, il cui debutto era previsto per l’inizio del 1928. Fats e Andy furono assunti per fornire una parte delle musiche, mentre la maggior parte delle restanti era stata affidata a James P.Johnson e a Henry Creamer. Da questa partitura sarebbero uscite composizione di Razaf e Waller Willow Trees e Sippi della coppia Johnson-Creamer. Mentre vi era una grande orchestra diretta dal veterano Will Vodery, durante gli intervalli suonava in buca una piccola formazione che rubò praticamente la scena. Vi suonavano Fats e Jimmy Johnson su due pianoforti appaiati, Jabbo Smith alla tromba e Garvin Bushell al clarinetto, al sassofono contralto e al fagotto. Il vitalissimo complessino fu immortalato in un paio di dischi Victor. I “Louisiana Sugar Babies” suonarono i due succitati pezzi originali tratti dallo spettacolo, più Persian Rug di Neil Moret e l’allora popolarissimo Thou Swell, un successo di Broadway di Rodgers e Hart. Su quei dischi, Fats suonò l’organo con il contrappunto pianistico di Johnson, e il risultato è una vera delizia. Fats e Andy scrivevano anche del materiale per diverse riviste messe in scena al Connie’s Inn, un night club di Harlem di cui erano proprietari i fratelli Immerman, Connie e George, per i quali Fats aveva lavorato come fattorino anni prima. Un piccolo organo bianco era stato installato nel club ad uso di Fats, che di tanto in tanto vi lavorava come principale intrattenitore. Uno spettacolo del 1928, intitolato “ Load of Coal”, fu notevole per due canzoni di Razaf e Waller, Honeysuckle Rose e Zonky. Nel 1929 un’altra rivista del Connie’s Inn, “Hot Chocolate”, avrebbe contenuto quello che può essere forse il maggior gruppo di canzoni della coppia, con successi duraturi quali Ain’t Misbehavin’, Black And Blue e Sweet Savannah Sue. Lo spettacolo si segnalò per la prima apparizione su un palcoscenico del centro di Louis Armstrong , per la presenza di un giovanissimo Cab Calloway nel ruolo di attor giovane e per l’ispirata interpretazione della classica canzone Black And Blue da parte di Edith Wilson, che la consegnò presto al disco accompagnata da una formazione tratta dall’orchestra regolare del Connie’s Inn, la Leroy Smith Orchestra. Armstrong aveva un momento tutto per sé quando eseguiva Ain’t Misbehavin’ e in seguito attribuì a questa apparizione (che ogni notte ripeteva ad Harlem in un night club) il merito di aver rivitalizzato la sua carriera, presentandolo al pubblico di New York come una stella che brillava finalmente di luce propria. Dal canto suo, Fats si limitava ad una apparizione straordinaria sul palcoscenico con Louis ed Edith Wilson in un numero intitolato “1000 libbre di ritmo”. Ma era occupato a scrivere altre canzoni di successo, cosa che doveva fare per stare al passo con i pagamenti a favore della sua ex moglie e del loro figliolo. I’ve Got A Feeling I’m Fallin’ e Blue Turning Grey Over You risalgono a quell periodo, con I’m crazy Bout My Baby che segue poco dopo. Fats avrebbe anche scritto Keep A Song In Your Soul col dotatissimo musicista Alex Hill, e continuato a lavorare per molti anni insieme a Razaf. I primi anni trenta videro Fats per la prima volta ad un impresario professionista, Phil Ponce, il quale combinò una scrittura con la potente stazione radiofonica di Cincinnati WLW, che si vantava di essere “La Stazione della Nazione”. Qui, Fats era il fulcro del programma musicale “Il club del ritmo”, in cui dirigeva un’orchestra locale. Aveva anche un numero crescente di passaggi tutti per sé, in cui cantava e suonava. Quello fu un momento importante per la notorietà del giovane talento nato nell’Ohio, anche per la presenza nel programma dei Mills Brothers e di una ragazza di sedici anni che si chiamava Una Mae Carlisle, che divenne per un po’ l’amante di Fats e più tardi una stella della canzone. A tarda notte, la stazione presentava un programma di musica organistica e poesia intitolato “Moon River”, destinato ad offrire sonorità rilassanti agli ascoltatori che si preparavano ad andare a dormire. Fats prendeva spesso il posto dell’organista regolare e suonava la musica che aveva nell’anima, mentre il pubblico degli ascoltatori non sospettò mai che questa venisse dalle mani del “maestro dell’allegra” di poche ore prima! Ai quasi due anni passati da Fats alla WLW va il merito di avergli procurato un pubblico già preparato per i suoi dischi seguenti, dato che la stazione era ascoltata in quasi tutta la parte orientale della nazione. Tra l’altro, per accrescere l’interesse della trasmissione, Fats e gli altri partecipanti al programma furono inviati in piccole tournèe che toccavano teatri e sale da ballo negli stati vicini. L’esperienza di Cincinnati provò quello che avrebbe dovuto essere sempre stato ovvio, che Fats Waller dominava qualunque situazione musicale in cui fosse stato inserito. Il suo pianismo scintillante, la sua enorme massa fisica e la sua vivacità intellettuale in palcoscenico erano unici ai suoi tempi. È evidente che, per quanti potessero essere stati i leader che morivano dalla voglia di averlo nelle proprie formazioni, alla fin fine nessuno di loro ebbe il coraggio di dividere la luce dei riflettori fino a quel punto! Ciò nonostante, Fats fu assunto per numerose sedute di registrazione a causa del suo assoluto dinamismo e del suo ritmo irresistibile. E quant’erano diversi tra loro quei gruppi: Fletcher Henderson, Ted Lewis, McKinney Cotton Pickers, Jack Teagarden, Billy Bank’s Rhythmakers, Eddie Condon, Lee Wiley, The Little Chocolate Dandies e, in un’affascinante ma inedita seduta in studio di incisione, Paul Whiteman. Fin dai primi anni era chiaro che quando Fats era al pianoforte, ogni musicista presente sembrava suonare al massimo delle sue possibilità. Questo sarebbe stato specialmente evidente quando Fats formò la propria orchestra nel 1934. Perciò non fu una sorpresa che quando iniziò la sua lunga e fruttuosa serie di registrazioni come “ Fats Waller And His Rhythms” la risposta fosse immediata e travolgente. Da quel momento in avanti, la sua vita sarebbe stata schiava del successo, uno sforzo incessante per sostenere la richiesta del pubblico che voleva più dischi,l’aumento delle apparizioni di persona, viaggi più frequenti e meno tempo libero da passare a casa con la famiglia e gli amici. I dirigenti delle case discografiche, sgomenti ma pazzi di gioia di fronte ai risultati di vendita, cominciarono a credere che Fats e il suo complessino avrebbe potuto fare un successo di qualunque canzoncina di Tin Pan Alley, per quanto banale fosse. Sebbene nemmeno lui avesse potuto sempre salvare una parte del materiale che gli passava per le mani, è vero che un cospicuo numero di mediocri canzoni furono trasformate in dischi allegri e swinganti dalla travolgente esuberanza e dal pianismo ispirato dei componenti l’orchestra. Ironicamente, uno dei brani che quasi si rifiutò di prendere in considerazione era I’m Gonna Sit Right Down And Write Myself A Letter. Fu in assoluto il suo disco più venduto. I dischi dei Waller Rhythms seguivano un modello che cambiava di rado. Dopo una semplice introduzione, c’era un ritornello del pianoforte. Sostenuto dalla sezione ritmica composta da contrabbasso, batteria e chitarra. Poi veniva un ritornello cantato da Fats, che lo eseguiva com’era scritto se la canzone gli pareva buona; altrimenti, per dare un po’ di “vita” alla canzone poteva aggiungere un commento spiritoso o anche inventarsi al momento un testo completamente nuovo. Un ritornello dei fiati (tromba e sassofono tenore e clarinetto) portava al chorus “d’uscita” durante il quale Fats spesso cantava le ultime otto battute. Una chiusa verbale, cose come “Mercy”, “pietà”, o “My, My!”, (accidenti, perbacco!), veniva inserita d’abitudine proprio alla fine. Quel jazz era eccitante e di alta qualità, ma molti appassionati l’ascoltavano per l’umorismo dell’esecuzione, il che, agli occhi di molti seri critici di jazz, toglieva qualcosa alla purezza della musica. Ma è difficile immaginare che Waller avrebbe potuto raggiungere un tale successo senza l’ingrediente che lo pone al di sopra di tanti abili imitatori, l’assoluto valore di intrattenimento di una performance di Waller.bix Il piccolo complesso e quello più ampio creato per offrire un suono più pieno nelle sale da ballo e sui palcoscenici dei teatri, erano quasi sempre sulla strada. Ci furono alcuni brevi intermezzi dedicati alla realizzazione di film a Hollywood, che furono tre: Hooray For Love, King Of Burlesque e, nell’ultimo anno di vita di Fats, Stormy Weather, un musical con soli interpreti neri le cui stelle furono Bill Robinson, Lena Horne e Cab Calloway. Fats, che non aveva smesso di consumare smodatamente cibi e bevande, sembrava cercare una festa ovunque andasse, sebbene all’epoca non sembrasse mai tanto felice come quando con solo uno o due ascoltatori poteva esprimere i suoi sentimenti più profondi all’organo. Quella parte di Fats Waller che era raramente intravista dal pubblico poteva suonare Bach per ore, piangere apertamente quando suonava “Sometimes I Feel Like A Motherless Child” (il celebre spiritual il cui titolo in italiano suona “Talvolta mi sento come un bimbo senza mamma”), o improvvisare un po’ sul pianoforte di un teatro alla fine dello spettacolo. Era un uomo che aveva fatto ogni sforzo per passare il Natale a casa con la sua famiglia, la sua seconda moglie Anita e i loro figli Maurice e Ronald. Tra i momenti più importanti dei pochi anni che gli restavano ci furono due viaggi in Inghilterra e nel Continente, dove fu festeggiato da folle di ammiratori ovunque lo si fosse conosciuto attraverso i dischi, dove si esibì con musicisti locali e incise dischi con Adelaide Hall, dove fece un’apparizione televisiva a Londra; e dove compose la sua London Suite prima di arrivare a Southampton quando il suo impresario, Ed Kirkeby, gli descrisse le varie parti della città. Nel 1942, Fats venne invitato a dare un concerto alla Carnegie Hall, un evento organizzato dal pubblicitario Ernie Anderson, che prenotò personalmente la sala prima ancora di aver comunicato il progetto a Waller. Naturalmente andò in estasi all’idea di suonare in un luogo sacro come quello, dove si era seduto ad ascoltare Horowitz dalla balconata. Ma il 14 gennaio, Fats, splendente nel suo frac, ebbe un attacco di nervi e cercando di risolvere il suo problema con qualche bicchiere, riuscì a dimenticare il programma che aveva pianificato, in cui era stata prevista un’esecuzione della London Suite. Il risultato fu un successo dal punto di vista economico, ma un fallimento artistico che non poté essere recuperato nemmeno dalla robusta formazione di sostegno composta da musicisti di Eddie Condon ai quali si era aggiunti Hot Lips Page. Non ci sarebbe stata un’altra possibilità per Fats. Nell’ultimo anno della sua vita, Fats guadagnò più denaro di quanto non ne avesse ottenuto in tutta la sua carriera, e questo con “Stormy Weather”, con la composizione della partitura del musicale di Broadway Early To Bed e una serie di trasmissioni radiofoniche e concerti solistici nei night club. La piccola orchestra si era sciolta subito dopo l’ultima seduta di registrazione per la Victor, e Fats aveva in mente di capitalizzare il proprio fascino personale continuando l’attività come solista. Ma una vita di bevute, ore piccole, mangiate eccessive e una continua presenza in società l’aveva avuta vinta su di lui, e mentre tornava a casa a New York per Natale, si spense sul treno nei pressi di Kansas City, Missouri. La causa fu una polmonite. Aveva trentanove anni. Il mondo intero lo pianse.

 
           
 
   
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