Django Reinhardt
 
 
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Django Reinhardt

 

 

di Fabio Lossani

 

 

Cher amis du Jazz, un amico comune mi ha mostrato questo sito e così ho pensato di mandarvi alcune notizie su di me che a detta degli esperti sono il più grande chitarrista jazz europeo.
E' noto a tutti quelli che mi conoscono, personalmente o attraverso i vari aneddoti, quanto tenga a che questo venga rammentato, non solo dai miei cugini Manouches (che mi ricordano già tutti gli anni organizzando, l'ultimo fine settimana di giugno, il "Festival de Samois sur Seine") ma anche dagli amanti della musica jazz ai quali credo di aver dato molto.
E proprio nel mondo "gadjé" (i non zingari) molto spesso si scrive e si parla di me in modo impreciso e a volte anche assurdo per questo motivo ho deciso di scrivervi queste righe riguardanti la mia persona e la mia vita:

Mia madre Laurence Reinhardt, "Négros" così la chiamavano tutti, era una danzatrice Manouche (una delle varie tribù zingare) e un'acrobata di talento, aveva un carattere molto forte e libero e non volle mai sposarsi, per questo io e i miei fratelli portiamo il suo cognome.
Mio padre Jean-Eugène Weiss faceva un po' di tutto per guadagnare qualche soldo: intrecciava panieri, aggiustava strumenti ed infine suonava il violino e la chitarra. E la sera del 23 gennaio 1910 mentre lui intratteneva nell'unico bistrot i cittadini del piccolo paese di Liberchies in Belgio, io venivo al mondo. Mi iscrissero all'anagrafe di quel comune ma da questo a dire che io sono belga ce ne passa! Noi Manouche, zingari dell'Alsazia, giravamo il mondo facendo cose lecite e illecite, e per mia fortuna suonando e modificando a nostro piacere le musiche dei paesi che attraversavamo, le suonavamo a nostro modo prediligendo il virtuosismo e con una particolare passione per l'ornamento e l'improvvisazione. Django francese?! Belga?! Django è Manouche sia quando dorme nel suo carrozzone che quando invita i suoi "cugini" nell'appartamento di Montmartre!!
Visitate "Études Tsiganes" http://www.etudestsiganes.asso.fr/ vi chiariranno le idee su chi "anche" siamo noi zingari e probabilmente capirete qualcosa di più di me, della mia musica, e perchè no dei miei ritardi e delle mie assenze tanto reclamizzate.
La mia infanzia l'ho vissuta all'ombra di mia madre (mio padre se ne andò quando io avevo circa quattordici anni) giocando con mio fratello minore Joseph "Nin-Nin" Reinhardt prima per le strade di Nizza e di Livorno poi ad Algeri e infine in vari accampamenti alle porte di Parigi fra i quali uno nella zona dove ora c'è il Mercato delle Pulci.
Non mi ricordo la prima volta che ho sentito il suono di uno strumento ma credo subito dopo la voce di mia madre; sì perchè da noi il piacere per la musica è molto diffuso e la sera c'è qualcuno che suona il violino, la chitarra, il mandolino e suona le vecchie canzoni popolari o gli ultimi successi, sempre però con il nostro stile inconfondibile.
La musica era un bel gioco per me e forse proprio perchè sembrava un capriccio mia madre non mi voleva comprare una chitarra "Cinquanta franchi per un giocattolo? Tu est fou!". Per mia (e vostra) fortuna Raclot un nostro vicino aveva un banjo-chitarra e vedendo il mio interesse per lo strumento me lo regalò.
Non fu difficile trovare dei maestri così gia a tredici anni ero molto apprezzato. Purtroppo di me come chitarrista tzigano non esistono registrazioni, uniche testimonianze sono i walzer suonati da Matelot Ferret (che suonò anche nel Quintetto dell'Hot Club de France) nel suo CD Tsinganskaïa and other rare recordings"(Hot Club Record HCRCD 46).
La mia tecnica della mano destra ha molte caratteristiche in comune con quella dei musicisti tzigani: 1) La chitarra viene usata sia come base ritmica che per proporre la melodia. 2) Viene suonata con note staccate. 3) Nell'accompagnamento viene utilizzato il "colpo di polso".

In un primo tempo ho suonato un po' con mio zio alle feste e poi trovai da suonare con il fisarmonicista Guérino nei bal-musette (cd16). Certo non era ambiente per ragazzini quello, però potevo guadagnare qualche soldo (e magari giocarmelo ai dadi o al tavolo da biliardo) ed aver occasione di conoscere molti musicisti per imparare da loro il più possibile.
Con il banjo ci sapevo fare, vinsi anche dei concorsi e nel 1928 ottenni la mia prima vera e propria scrittura con il fisarmonicista Jean Vaissade, potete apprezzare le mie prime evoluzioni al banjo su cd (cd 16/cd15; il mio nome però non venne scritto esattamente: "Jiango Renard" o "Jeangot" ma questo fu forse anche un po' per colpa mia dato che a quei tempi non sapevo scrivere il mio nome essendomi sempre rifiutato di andare a scuola (ed ancora oggi devo dire che non ho una grande dimestichezza con l'inchiostro e le lettere). L'unica cosa che mi interessava veramente era la musica però mi piaceva suonarla, mica scriverla!
Nel 1928 feci anche la conoscenza di Louis Vola, un musicista che avrebbe avuto una grande importanza nella mia vita. Ricordo che quel giorno io e Joseph eravamo in giro per Motmartre suonando e raccogliendo qualche franco con la questua, quando, entrando in un bar, fui chiamato da un uomo distinto che mi chiese di suonargli qualcosa con il mio banjo e dopo avermi ascoltato mi propose di presentarmi il giorno dopo per suonare nella sua formazione. L'idea mi piacque molto solo che, l'indomani, poco prima dell'ora prevista per l'appuntamento, incontrai alcuni amici ed andammo a farci una "steccata" alla sala da biliardo, non mi dimenticai della prova ma ci andai tre giorni dopo. Louis Vola, a quel tempo fisarmonicista, suonava con il suo gruppo anche un genere musicale che veniva dall'America: il jazz. Mi insegnò i primi rudimenti di quella musica fertile ed in quei giorni mi esercitavo eseguendo tutti i vecchi brani in stile "jazzy". Era bello girare la Francia ed essere ben pagati per suonare sopra un palco invece che chiedere i soldi col cappello e rischiare di essere cacciati via!
A Toulon mi furono pagate due settimane di lavoro e, contro il parere di Louis che mi consigliava di comprare dei vestiti nuovi, li spesi tutti in due giorni di allegria con i miei "cugini" zingari che, andando a Saintes-Maires-de-la-Mer per onorare il nostro Santo Patrono Sarah, si erano fermati a trovare il loro "famoso cugino Django". Ancor oggi non ho capito perchè Vola si stupì molto di questo. Mi dimenticai di chiederglielo anche perchè pochi giorni dopo ripresi la strada per essere a Parigi ed unirmi all'orchestra di un altro fisarmonicista: Maurice Alexander (cd16).
Una sera, mentre suonavamo a "La Java", il famoso direttore d'orchestra inglese Jack Hylton , venuto apposta per sentirmi, mi propose una scrittura per entrare nella sua orchestra. Sarei diventato una vedette internazionale!
Ma il Destino, che sempre governa le nostre vite e dal quale nessuno può scappare, aveva deciso diversamente e fu così che la notte del 1 novembre 1928, di ritorno da una serata di musica e vino miscelati in ugual misura, entrando nel carrozzone di legno nel quale vivevo con Bella Baumgartner, che avevo sposato l'anno prima e che qualche mese dopo avrebbe messo al mondo il mio primo figlio Henri "Lousson" Baumgartner (1929-1992) futuro chitarrista (cd38), lo trovai pieno di fiori in celluloide che mia moglie avrebbe venduto al
cimitero il giorno dopo. Entrai piano e accesi una candela. A questo punto il ricordo svanisce ed io posso solo raccontare quello che mi è stato detto e cioè che i fiori presero fuoco e così tutto il carrozzone e mentre mia moglie riuscì, pur bruciandosi i capelli, a scappare, io, intossicato dal fumo, caddi a terra svenuto dopo essere riuscito a coprirmi in qualche modo con una coperta.
I miei cugini dell'accampamento riuscirono, non so come, a strapparmi alle fiamme e mi portarono di corsa all'ospedale dove mi diedero la terribile notizia: avevo il lato destro del corpo completamente ustionato ed avrebbero dovuto amputarmi la gamba, inoltre la mano sinistra era praticamente inutilizzabile.

Potete certo immaginare il mio sconforto: avevo diciott'anni e non avrei più potuto suonare, sarei stato costretto a chiedere l'elemosina agli angoli delle strade e il mio portamento che tutti definivano "regale" non sarebbe stato più che uno zampettare aggrappato a delle grucce.
Ma anche questa volta il Destino, commosso forse dalle preghiere degli zingari per i quali il mio suonare era motivo di piacere ed orgoglio, cambiò quello che sembrava essere il mio futuro.
Grazie all'aiuto economico di mio suocero fui trasferito in un altro ospedale dove mi evitarono l'amputazione della gamba e dopo lunghe cure mi restituirono l'uso del pollice, dell'indice e del medio della mano sinistra; purtroppo l'anulare e il mignolo erano quasi completamente privi di vita. Non mi persi d'animo e durante i diciotto mesi di convalescenza, ripresi in mano uno strumento (questa volta si trattava di una chitarra). Ricominciai quasi da capo elaborando una tecnica per la mano sinistra che, se da un lato comportava uno sforzo superiore dovendo utilizzare solo due dita per il "solo" (ma questo un po' lo facevo anche prima con il banjo), dall'altro dava alla melodia un accento particolare e all'armonia, usando anche anulare e mignolo, l'utilizzo delle quinte e delle none, uniche note proponibili data la scarsa autonomia di queste due dita. Non avevo certo dimenticato la tecnica del banjo e in parte la mantenni soprattutto un certo modo di suonare "aggressivo". Il suono, siccome allora non esistevano le amplificazioni, doveva essere possente per poter essere udito tra quello dei vari strumenti.
Ma torniamo ai fatti. Poco dopo la mia riabilitazione altre due persone fecero il loro ingresso nella mia vita: Sophie Irma Ziegler che io chiamavo "Naguine" ed Emile Savitry.
Per raccontarvi l'importanza di Naguine nella mia vita non basterebbero tutte le pagine del vostro sito! Lei fu la mia sposa e mi accompagnò per tutta la vita fedelmente e devo dire, servilmente (arrivò addirittura a portarmi sulle spalle, quando intorno all'accampamento c'era tutto fango, per permettermi di andare a suonare con le scarpe pulite. Mi diede anche un figlio: Babik (nato nel 1944) del quale ero molto orgoglioso e che ora è un musicista piuttosto affermato, il mio grande rimpianto è di non avergli potuto insegnare molto.
Appena sposati io e mia moglie giravamo il sud della Francia e ci mantenevamo con i soldi che lei guadagnava vendendo pizzi.
A Toulon mi raggiunse mio fratello Joseph e insieme suonavamo qui e là dormendo sulle panchine o nelle barche tirate a riva; ci sembrò un po' strano quel giovane artista pieno di entusiasmo per il mio modo di suonare e figuratevi lo stupore quando ci invitò a salire nella sua camera vicino al porto e qualche giorno dopo, dato che doveva partire, ci lasciò le chiavi dell'appartamento! Era un piccolo locale pieno di quadri, fotografie e ricordi dell'Oceania dove Emile Savitry era stato di recente, ma c'era anche un fonografo e fu da quel fonografo che sentii per la prima volta la tromba d'oro di Louis Armstrong, il pianoforte di Duke Ellington e il violino di Joe Venuti. Ach moune! Avrei ascoltato quella musica decine di volte e tutte le volte mi prendeva un'intensa commozione. Era il 1930.
Ritrovai in quel periodo una vecchia conoscenza: Louis Vola, che mi propose di unirmi a lui per suonare al "Palm Beach" di Cannes. L'idea mi piacque e poi avevo bisogno di soldi perchè dovevo pagare il conto del "Grand Hotel George V" dove mi ero stabilito con Naguine facendomi passare, agevolato dal mio aspetto regale, per un principe indiano!
Devo dire che per Louis non fu vita molto facile! Più volte mi venne a prendere all'accampamento dove io facevo ritorno per festeggiare con i miei e capitò anche che, non avendomi trovato dovette suonare senza di me. Io non ho giustificazioni per il mio operato, dico solo: "Provate a tenere un gatto selvatico sopra una copertina di lana!"

Il povero Vola tentò anche la carta di farmi affittare una casetta vicino alla sua. Era un piccolo appartamento con un giardinetto, molto carina ma forse un po' troppo piccola per poter ospitare le decine di cugini che mi venivano a trovare sistemandosi alcuni per terra altri sulle amache tirate tra gli alberi altri ancora nella vasca da bagno. Ma le loro scimmiette erano un po' troppo invadenti girando per gli altri giardini facendo scherzi e così pure la scritta "Palm Beach" sulle coperte che usavamo per coprirci rivelava una provenienza sospetta per cui il prefetto di polizia ci "consigliò" di andarcene.
In quel periodo eravamo molto conosciuti: figuratevi che Henri Diamant-Berger ci propose anche di fare un film "Claire de Lune" girato nel 1932 ma del quale purtroppo pare non siano state trovate copie.
Terminato il nostro contratto al "Palm Beach" suonammo in altri locali ed infine, dato che la nostra orchestra con il suo jazz morbido di sapore europeo riscuoteva un notevole successo, fummo invitati a Parigi per suonare in un nuovo locale, "La Boîte à Matelots". Il gruppo era formato da Vola alla fisarmonica, io e mio fratello Joseph o Roger Chaput alle chitarre, Marco al piano, Bart Curtiss alla batteria, Paul Jean-Jean al saxtenore, Rumolino al baritono e il violinista Léon Ferreri.
In quel periodo suonai anche con altri musicisti come il sassofonista e clarinettista André Ekyan e il pianista Alec Siniavine, a volte trovandoci a tarda notte per suonare insieme, oppure, come nel caso di Jean Sablon, un cantante "leggero" con predisposizione al jazz, quando, avendo un buon contratto mi chiamò per accompagnarlo in alcune serate (ma capitò anche che l'ingaggio non fosse così alto da potermi pagare ed io andai ugualmente a suonare nascondendomi dietro i tendoni del retroscena del teatro "Daunou"). Sono del 1933 e primi mesi del '34 le varie registrazioni con Jean e Germaine Sablon, Eliane de Creus al canto, Léon Ferreri tromba, trombone e violino, Paul Jean-Jean saxalto, Michel Emer piano, Pierre Allier tromba, Eugène d'Hellèmes trombone, Alix Combelle saxtenore e clarinetto, Stéphane Grappelli violino, Max Elloy batteria, André Ekyan (cd 16).
Nel 1934 non so quale follia mi portò a prendere l'aereo per andare a Londra con l'orchestra di Jean Sablon dove suonammo per una trasmissione alla B.B.C.. Sono di questi giorni un paio di aneddoti che hanno sicuramente contribuito all'immagine del "personaggio Django".
Non era cosa che mi facesse piacere far sapere del mio analfabetismo così ogni tanto "baravo"come quella volta che mi sottoposero un contratto per l'Inghilterra ed io con tono deciso, indicando una riga sul foglio scritto a macchina dissi: "Questa clausola non mi piace!" Mi spiegò poi Al Romans che la clausola in questione precisava che il viaggio di andata e ritorno mi sarebbe stato completamente rimborsato! La mia incapacità di leggere e di scrivere non mi ha mai impedito di frequentare un mondo intellettuale parigino nel quale ero anzi piuttosto apprezzato per il mio "savoir faire"; del resto gli artisti fanno una vita un po' simile alla nostra che veniamo dalla Boemia, una vita un po' da "bohemien"!
Qualche anno prima nel dicembre 1932 alcuni appassionati di jazz fra cui Hugues Panassié, Pierre Nourry e Charles Delaunay avevano formato un'associazione: l'Hot Club de France , che si accupava tra l'altro di organizzare concerti che molto spesso mi vedevano come protagonista. Era inoltre nelle intenzioni di Nourry, allora attivissimo segretario del club, di lanciare un'orchestra di musicisti francesi che rappresentasse l'Hot Club.
Il caso volle che nell'autunno 1934 Louis Vola avesse formato un'orchestra per suonare, durante l'ora del té, all'Hotel Claridge sugli Champs-Elysées. Eravamo in undici: Marcel Raymond o Pierre Dorsey al piano, Francis Luca al contrabbasso, Gaby Bart alla batteria, io e Roger Chaput ( un ottimo accompagnamento ritmico, nonché sagace caricaturista ) alle chitarre, Alix Combelle, "Coco" Kiehn e Max Blanc ai sax, Alex Renard alla tromba, i due violinisti Sylvio Schmidt e Stéphane Grappelli ed infine il cantante di colore Bert Marshall.
Dato che c'era anche un'orchestra di tango avevamo delle pause durante le quali fumavamo e bevevamo in un altro salone inutilizzato dell'hotel, dove in seguito facemmo anche la foto del quintetto con Bert Marshall (che in alcune copie è stato impietosamente cancellato). Lì, dato che le pause erano piuttosto noiose, passavo il tempo suonando senza pensare, appoggiando i piedi su un' altra sedia, in rilassatezza e un giorno, quel giovane violinista dall'aria dandy, Stéphane Grappelli (con quella sua "i" finale che per leziosaggine trasformò in un secondo tempo in "y") si unì a me per suonare un breve riff che avevo appena composto, poi arrivò anche Roger Chaput ed infine anche Louis Vola con il contrabbasso, l'impasto sonoro ci piaceva molto e queste sedute estemporanee si ripeterono più volte. A noi piaceva quella formazione ed anche ai pochi che ebbero la fortuna di ascoltarci quelle prime volte e quindi perchè non suonare insieme stabilmente? Così ebbe inizio la grande avventura del Quintette du Hot Club de France.
Era la nostra una formazione a metà tra il jazz di allora e la tradizione Manouche; la ritmica (pompe) era affidata alle chitarre che accompagnavano marcando regolarmente i 4/4 : il primo e il terzo sui bassi il secondo e il quarto con l'accordo completo. Avere una base regolare senza troppi fronzoli mi permetteva di esprimermi in piena libertà come solista, oppure sottolineare, con accordi, alcune frasi quando suonava Stéphane. La "pompe" era quindi fondamentale per il nostro stile per questo all'inizio portai oltre a mio fratello Nin-Nin altri due cugini ma Stéphane ritenne che cinque chitarre (compreso Roger Chaput) erano un po' troppe.
L'inizio come sempre non fu folgorante: gli "addetti ai lavori" della casa discografica "Odeon", con cui registrammo due brani di prova (sotto il nome "Delaunay's Jazz" (cd15/cd17), giudicarono il nostro "jazz a corde" troppo insolito privo com'era del suono dei fiati, del pianoforte e della batteria. Nonostante questo giudizio Nourry, credendo in noi, ci organizzò un concerto all' Ecole Normale de Musique dove avremmo dovuto accompagnare una giovane cantante che però non si fece vedere per cui suonammo la nostra musica tutta la sera ed avemmo un tale successo che ci vennero chieste delle repliche per i giorni successivi.
Finalmente si fece avanti la piccola casa discografica Ultraphone che, se pur contrattando molto il nostro cachet, accettò di farci registrare nel dicembre 1934 (cd 17).

A questo punto mi è d'obbligo parlare di Stéphane Grappelli, l'amico e collega che ha condiviso con me gran parte della mia avventura musicale e della mia vita. E' senza dubbio grazie anche al suo valore se la nostra musica potè ottenere un successo così grande ma la componente davvero vincente era il giusto equilibrio prodotto dall'unione di due uomini e musicisti così diversi.
Umanamente Stéphane era parsimonioso, di molto vicino alla taccagneria mentre è noto a tutti come io non avessi problemi a sperperare i soldi appena guadagnati, lui amava inoltre l'eleganza e un certo atteggiamento di una società borghese alla quale io non appartenevo. Musicalmente le differenze sono, alla fine, le stesse: il suo suonare così poco legato alle tradizioni popolari e alla passionalità tzigana ha allontanato il pericolo di cadere nel folcloristico (cosa del tutto probabile con una formazione che a volte era per più della metà composta da zingari) senza però essere intellettuale o classico.
Come me era autodidatta e che anche lui visse per un certo periodo suonando per strada.
Fu lui tra l'altro che tentò di insegnarmi i primi rudimenti di teoria musicale e che mi aiutò ad imparare a scrivere il mio nome.
Ed ora torniamo ai fatti: dopo l'ottima accoglienza del nostro primo disco era più che logico aspettarsi numerose richieste di concerti ma purtroppo questo non fu e perciò eravamo costretti a suonare ingaggiati da orchestre diverse l'uno dall'altro. Io lavorai cinque mesi allo "Stage B" e in questo periodo ebbi l'opportunità di accompagnare il grande Louis Armstrong e di fare la conoscenza e registrare con il sassofonista Coleman Hawkins (cd 17/cd11 ) Ci si ritrovava con gli altri del Quintetto solo per registrare o casualmente per qualche sporadica jam-session: in marzo, aprile, luglio e settembre1935 (cd11/cd13/cd 22) ed ancora in ottobre per la Polydor sotto la dicitura "Stéphane Grappelli and his hot four" cosa che mi creò un certo malumore. (cd 13/cd 23)
In queste ultime registrazioni incominciai ad utilizzare lo strumento che sarebbe diventato "la chitarra di Django" cioè la Selmer su progetto del liutaio italiano Mario Maccaferri , uno strumento di grande sonorità. In un primo tempo adottai quella con la cassa al dodicesimo tasto e la buca a "D" in seguito sostituita da quella con la tastiera più estesa e la buca ovale più piccola che permetteva l'applicazione del pick-up "Stimmer" (era quest'ultimo strumento un modello prodotto dalla Selmer dopo la rottura del contratto con Maccaferri) purtroppo ne furono prodotte meno di un migliaio di esemplari e non credo che alla Cité de la Musique di Parigi http://www.citedelamusique.fr vi permetteranno di acquistare la mia ultima chitarra (ma potete comunque andarla a vedere); ma poco male, hanno operato a Parigi alcuni liutai che costruivano questo tipo di chitarre: Jacques Favino, Anastasio, Busatto, Di Mauro e tutt'ora altri le costruiscono in Francia ma anche in tutto il mondo.
Nel gennaio 1936 eravamo ancora insieme, ingaggiati con Benny Carter, per tre concerti a Barcellona che se ebbero un grande successo dal punto di vista musicale furono però un fallimento dal lato economico dato che l'organizzatore scappò con l'incasso lasciandoci senza un soldo (non era uno zingaro!).
Poi in maggio ancora registrazioni ma questa volta per la casa Gramophone e con Lucien Simoens al posto di Vola e quindi di nuovo in ottobre con Louis (cd1 /cd11/ cd 26).
I concerti rimanevano, per la nostra formazione, un'occasione sporadica mentre si susseguivano richieste di registrazioni come per His Master's Voice che chiese alla Gramophone i diciotto pezzi che furono registrati nell' aprile 1937 (cd1/cd11/cd 26). Alle chitarre ritmiche in quella occasione c'erano Pierre "Baro" Ferret e Marcel Bianchi e non era presente Joseph con il quale avevo avuto una violenta lite a capodanno; alcuni sostengono volesse da tempo affrancarsi alla schiavitù che lo costringeva tra l'altro a portare anche la mia chitarra, ma questo è vero solo in parte: a prescindere dal fatto che lui fosse il fratello minore, se io non portavo il mio strumento non era per "divismo" ma perchè in effetti mi risultava complicato, avendo una mano parzialmente inutilizzabile, portare dei pesi. Ancora in quei giorni di fine aprile registrai i miei primi due brani per chitarra sola (cd 26 / cd38) e per la nuova etichetta Swing fondata da Charles Delaunay alcuni pezzi con Coleman Hawkins (tens), Alix Combelle (tens, cl), Benny Carter (as, tr), André Ekyan (as), Stèphane Grappelli (p), Eugène d'Hellemmes (cb) e Tommy Benford (batt) (cd1 / cd 26).
La grande Esposizione del '37 portò un po' di lavoro anche per il nostro Quintetto che ebbe l'occasione per farsi ascoltare dai numerosi visitatori stranieri.
Continuò anche il mio lavoro in sala di registrazione: in luglio con il trombonista Dicky Wells (cd1/cd11); in settembre con il trombettista Philippe Brun (cd1/cd15); ancora in settembre, con i tre violinisti Eddie South, Michel Warlop e Grappelli (da questa registrazione si possono notare i differenti stili dei tre violinisti e si intuisce che se i primi due possono sembrare più dotati, alla lunga, Stèphane era il più adatto a suonare con me.cd1). Poi registrai in novembre con il trombettista Bill Coleman (cd1) e ancora in novembre e dicembre (cd1/cd11) per finire l'anno con Michel Warlop (cd1/cd11) e ancora Philippe Brun (cd1).
Varcammo la frontiera per suonare in Olanda e in Belgio ed arrivare poi in Inghilterra dove registrammo per la Decca nel gennaio 1938 (cd12). Ora il Quintetto era composto oltre che da me e Grappelli dal "cugino" manouche Eugène Vées e da Roger Chaput (chit) e da Louis Vola (cb). Per i curiosi dirò che è possibile durante l'esecuzione di "My Sweet" ascoltare la mia voce mentre presento il solo di "Monsieur Vola".
In Inghilterra fu un vero trionfo, i biglietti per i nostri concerti si vendettero in pochi giorni e io assaporavo il gusto della celebrità vivendo in lussuosi Hotel e girando per Londra in "Buick" (con autista che pagavo 5000 franchi al mese).
Fu un grande momento quello per il Quintetto! Le richieste di serate piovevano da tutte le parti ed anche il lavoro in sala di registrazione era molto prolifico (cd11/cd12).
Avevamo ormai conquistato l'Europa ora non ci restava che conquistare l'America! L'occasione sembrò arrivare con la venuta a Parigi del famoso impresario Irving Mills e di Duke Ellington che parteciparono all'inaugurazione dei nuovi locali dell'Hot Club De France al numero 14 di rue Chaptal.
Feci una registrazione con Rex Stewart (cnt), Barney Bigard (cl,batt) e Billy Taylor (cb) allora membri dell'orchestra di Ellington (cd1/cd11) e ricordo che il "Duca" fu molto compiaciuto della mia musica quella sera che suonai all'"Hot Feet" immaginate poi che scintille quando, sedendosi al pianoforte, improvvisò con me per un buon quarto d'ora.
Sfortunatamente nell'agosto 1939 scintille ben più spaventose si prospettavano all'orizzonte e quando ritornammo, per la terza volta in due anni, a Londra la trovammo in assetto di guerra e con frequenti black-out (cd12).
Poi quella domenica di fine estate venni svegliato dalle sirene e dalla notizia che era scoppiata la guerra, io ho sempre fatto il musicista non il soldato e le bombe mi facevano paura, così lasciando tutto, compresa la mia chitarra, salutai Grappelli e presi il primo treno per Parigi.
Dopo i primi mesi di confusione la situazione a Parigi si normalizzò, anzi, la gente sembrava volersi divertire a tutti i costi, i locali dove suonare erano molti, essendo rimasti pochi musicisti in attività (gli americani erano ritornati oltre oceano e quasi tutti i giovani francesi erano stati chiamati nell'esercito), e tutti volevano ascoltare lo Swing anche per quello che di trasgressivo rappresentava.
Decisi in questo periodo di cambiare in parte la formazione del Quintetto non solo per il fatto che Grappelli era rimasto in Inghilterra ma anche perchè desideravo fare qualcosa di più con i fiati (cd1).

Hubert Rostaing, molto giovane e agli inizi della sua brillante carriera, venne un giorno al "Jimmy's" per avere il posto lasciato libero da Alix Combelle; aveva un modo di suonare molto dolce ed era proprio quello che ci voleva per il mio nuovo Quintetto formato nell'ottobre 1940 da: Hubert Rostaing (cl,ten,), Nin-Nin (chit), Francis Luca (cb), Pierre Fouad (batt) (cd1). Appositamente per questa formazione composi alcuni nuovi pezzi tra cui la famosissima "Nuages" (cd1/cd11) il cui arrangiamento però non mi soddisfaceva pienamente e perciò decisi di registrare nel dicembre successivo una seconda versione più orchestrale con anche il clarinettista e sassofonista Alix Combelle (cd1). Con i due ebbi anche l'occasione di mettere in pratica una mia idea: in "Oiseaux Des Iles" feci suonare in una successione di quattro accordi vicini solo le none e le quinte di ciascun accordo per provocare l'effetto per cui, per induzione, l'ascoltatore avrebbe sentito anche le fondamentali.
Il buon successo della nuova formazione ci portò a suonare in vari locali parigini "Salle Pleyel", "Olympia", e al "Moulin Rouge" dove ci esibivamo su di un palco a tre piani insieme alle orchestre di Gus Viseur e André Ekyan, il mio nome era su tutti i muri della capitale e abitavo in un lussuoso appartamento in Champs-Elysée. Ero richiesto ovunque e le tournée si succedevano una appresso all'altra: in aprile 1942 a Bruxelles con grandi orchestre (cd19) che stimolarono in me la voglia di comporre pensando ad una formazione più ampia che il Quintetto, con il quale peraltro continuai a suonare prima sulla Costa Azzurra ed in seguito in Africa del Nord.
Mi è sempre piaciuto giocare d'azzardo ed ora mi potevo permettere di giocare senza problemi, ricordo che a volte perdevo al tavolo da gioco tutto quello che avevo guadagnato in una settimana ed una sera arrivai a perdere 350000 franchi. Ma i soldi vengono e vanno, quello che veramente mi interessava era la mia musica e perciò con il musicista Gérard Levêque che si occupava della trascrizione (dato che ancora conservavo un sentimento ostile per le penne e i fogli), mettemmo parecchie mie composizioni sul pentagramma così che potessero essere tramandate ai posteri (cioè voi), fra queste la sinfonia "Manoir De Mes Rêves" la cui partitura però si perse e perciò ne resta solo un piccolo frammento registrato (cd1/cd11).
C'era però chi aveva altri interessi e nell'estate1943 essendo incominciati quei terribili bombardamenti su Parigi preferii stabilirmi a Pigalle vicino a quello che era giudicato il miglior rifugio antiaereo della città, ma questo non bastava, c'era anche il Comando Tedesco che insisteva per una tournèe in Germania e per me quello sarebbe stato veramente troppo (vi ricordo che numerosissimi furono gli zingari che perirono nei lager nazisti).
Partii dalla capitale per rifugiarmi in Svizzera ma la cosa si rivelò molto più complicata di quanto pensassi cosicché me ne dovetti ritornare al rifugio del metrò di Place Pigalle.
Erano momenti di paura e di deportazioni quelli ma grazie all'ammirazione ed alla protezione di qualche ufficiale tedesco appassionato di jazz (in prima fila Dietrich Schulz-Kohn della radio tedesca WDR) ed alle royalties sulle vendite dei miei dischi potevamo io, Naguine e Babik (nato nella primavera 1944) soppravvivere più che dignitosamente ed anzi ospitare i cugini manouche che ci venivano a trovare numerosi come d'abitudine.
Nell'agosto 1944 arrivarono finalmente i soldati americani che portarono oltre alla libertà ed alla voglia di divertirsi un grande interesse nei miei confronti; erano in molti e di vario grado quelli che mi venivano a cercare e mi volevano sentire suonare dal vivo dopo avermi conosciuto, attraverso i dischi del Quintetto a corde, ascoltati in America.
In quei giorni ebbe inizio un periodo della mia carriera artistica che potrei definire "a stelle e strisce". Un ingaggio nei campi militari della costa e poi l'incontro con Lonnie Wilfong arrangiatore dell'Air Transport Command Band (A.T. C.) con cui partecipai ad alcune trasmissioni radiofoniche, ad una seduta di registrazione per l'etichetta "Swing" di Delaunay (cd1/cd11) ed a un concerto alla Salle Pleyel il 16 dicembre 1945 (cd24).
In gennaio 1946 tornai, dopo più di sei anni, in Inghilterra ma soprattutto rincontrai Stéphane Grappelly: un abbraccio, un saluto, qualche informazione sui vecchi amici e subito, prendendo i nostri strumenti, ci rendemmo conto che l'intesa era ancora la stessa e volendo avremmo potuto riformare il vecchio Quintetto (così troppo spesso nostalgicamente invocato da pubblico e critici) per conquistare il pubblico americano che tanto sembrava apprezzarci. Ed allora: tutti in sala a registrare! Con una "pompe" dal leggero sapore di the inglese (Jack Llewellyn ed Allan Hodgkiss alle chitarre, Coleridge Goode al contrabbasso cd1/cd11) Stéphane ebbe l'occasione di suonare per la prima volta "Nuages" (cd12).
Come spesso succede (a volte per una fortuna che al momento non sappiamo riconoscere) le cose non seguono il corso che vogliamo, Grappelly si fermò in Inghilterra ed io me ne tornai a Parigi da solo.
La mia condizione fisica non era delle migliori ed inoltre la prefettura stava mettendo in atto un progetto di chiusura dei cabaret per fare economia di elettricità, per cui non c'era molto lavoro, decisi quindi di dedicarmi per un po' alle mie due antiche passioni: la pesca e il biliardo alle quali si aggiunse la pittura e da questo momento, se pur in modo incostante, continuai a dipingere.
La tournée in Svizzera nell'autunno1946 non sarebbe stata di rilevante importanza sennonché mi dette l'occasione di incontrare un agente inglese con il quale firmai un contratto per suonare, la settimana successiva con Duke Ellington. Dove? Negli Stati Uniti D'America!
Ai primi di novembre (certo non il periodo dell'anno che mi è più propizio) ero a New York, sempre per il mio problema di non portare pesi, avevo con me solo i vestiti che indossavo e tanta voglia di ben riuscire nella mecca del Jazz.
Il primo concerto della tournée, il 10 novembre 1946 a Chicago (cd38), fu un grande successo e così pure i successivi a Saint Louis, Detroit, Kansas City e Pittsburgh, tutto andava a gonfie vele, ero acclamato come un grande della musica jazz anche se il suono di una chitarra elettrica che mi ero procurato in America non era certo quello della mia Selmer lasciata ingenuamente a casa pensando che qui avrei trovato di meglio.
Il 23 e il 24 novembre sarebbero stati i due concerti più importanti della tournée. Eravamo alla Carnegie Hall di New York! C'erano migliaia di persone, la prima serata, in quella sala, migliaia di persone per sentire lo Zingaro venuto da Parigi. Fu un diluvio di applausi e anche la stampa in seguito descrisse il concerto entusiasticamente.
Non saprei però ben raccontare il concerto, evidentemente ancora più atteso, del giorno dopo perchè arrivai quasi alla fine. Perchè? Semplice: in quel paese dove tutti parlavano una lingua che non capivo chi ti incontro? Un amico francese, Marcel Cerdan, dico: il Campione del Mondo di boxe! ( E compagno della grande Edith Piaff ) Un po' il bere, un po' il chiaccherare, un po' che
un taxista non capendo le mie indicazioni, mi portò da tutt'altra parte della Carnegie Hall arrivai al teatro quando il concerto era quasi concluso e già Duke Ellington si era scusato con il pubblico per la mia assenza. Riuscii comunque a suonare e dopo un prevedibile imbarazzo iniziale, a riscuotere il consueto successo.
Dopo ancora una decina di serate in diverse città, il contratto con l'orchestra di Ellington terminò ed ancor oggi non so bene cosa lui pensi di quella malaugurata sera.
Subito venne un altro contratto al Café Society Uptown a New York con l'orchestra di Edmund Hall; la sera suonavo e di giorno, non sapendo cosa fare in una città così grande e sconosciuta, mi rimisi a dipingere.
Troppo spesso il proprietario del locale voleva che suonassi oltre l'ora stabilita e troppo spesso i clienti volevano ascoltare il Django Reinhardt del Quintetto dell'Hot Club di dieci anni prima che conoscevano dai dischi arrivati in America, per questo fu un vero sollievo il giorno che lasciai quel locale.
Se pur così grande l'America incominciò a starmi stretta, senza contare la malinconia di essere così lontano da Naguine e Babik, perciò, poco tempo dopo, con le mie tele sotto il braccio, me ne tornai a casa. Lascio ai posteri, come
si dice, giudicare se questo fu più un fallimento per me o per gli americani. Il 13 febbraio 1947 ero di nuovo a Parigi.
Tra i fatti salienti di quel periodo alcune registrazioni (cd31) una colonna sonora per un film, mai girato, di Marcel Carné (cd25), una tournée in Belgio
nel maggio 1947 (cd18 /cd25) fu un momento importante perchè incominciai ad alternare alla chitarra acustica quella elettrica (in realtà si trattava ancora
della Selmer con applicato un pick-up) e ciò mi fece modificare in parte il modo di suonare rendendo le frasi più lineari e attirandomi verso una sonorità sempre più "be-bop" e sempre meno "pompe". In quel periodo il mio utilizzo dell'amplificazone era ancora in fase sperimentale e mi rendevo conto che a
volte l'amplificatore non sosteneva il colpo di polso, questo provocava

saturazione e distorsione e quindi un suono un po' sporco che è oggi la caratteristica di alcuni musicisti di jazz-manouche (nonostante la tecnologia nell'amplificazione degli strumenti acustici sia molto cresciuta) (cd31).
Io e Grappelly, tornato di fresco dall'Inghilterra, ricostituimmo il Quintetto
a corde (cd14 ) e ci esibimmo alla "Salle Pleyel" con grande successo che fu buon viatico per registrazioni e altri ingaggi tra i quali quello all' "ABC"
dove ci incontrammo in memorabili jam-session con Dizzy Gillespie.
C'era un po' di confusione in me con tutto questo mischiare stili diversi e appena potevo concentravo i miei sforzi più sulla pittura che sulla musica. Non saprei dire quali furono le ragioni che, già da qualche anno, mi avevano avvicinato alla pittura, è certo che l'aver avuto rapporti con pittori
(Savitry, Cocteau, Amédée Pianfetti, Chaput, Delaunay, Paul Grimault) stimolò molto il mio interesse. Non avevo delle conoscenze tecniche ma non per questo ero un "pittore della domenica" io trasportavo comunque nella pittura quello che avevo dentro (un artista è un artista!) anche se a volte l'incapacità di poter rappresentare in un quadro quello che era nelle mie intenzioni mi portò a sfasciare contro il muro più di una tela. I miei quadri, da molti considerati "naif", erano apprezzati e ciò mi riempiva di orgoglio.
Il bisogno di denaro per mantenere un tenore di vita agiato al quale mi ero abituato (non ultimo il piacere di qualche partita a biliardo con relativa posta) ma anche la voglia di riprendere la strada mi portarono, insieme a Stéphane, in Italia nel gennaio 1949. Suonavamo alla "Rupe Tarpea" di Roma (e in un secondo tempo a Napoli e a Milano dove suonai anche con un vostro connazionale che si chiama Franco Cerri). Nonostante che il vostro paese mi piaccia molto e che divenni amico di molti italiani, non posso dire certo che questa tournée sia stata un successo. A Milano il proprietario del locale ("Astoria") ruppe il contratto e ci mandò via, mentre a Roma suonammo con una sezione ritmica italiana (Gianni Safred al piano, Carlo Pecori al contrabbasso e Aurelio De Carolis alla batteria) che non mi soddisfaceva (ma devo dire che risentendo il disco oggi forse avevo torto), il fatto di dover, in un primo tempo, far ballare la gente in una sala del locale e poi, dopo una pausa, spostarsi in un altra sala e, presentato come "Le tre dita fulminanti", fare da attrazione, tutta una serie di elementi negativi ma soprattutto la sensazione di non essere in prima linea nella creazione del Nuovo Jazz, contribuirono a fare in modo che questa tornée non fosse stata per niente esaltante. Leggermente diversa l'atmosfera nelle registrazioni realizzate presso gli studi Rai, non essendo finalizzate alla pubblicazione di un disco avevamo la possibilità di esprimerci ben oltre il limite di durata di un 78 giri (cd2O/cd21).
Nell'ottobre 1949, durante la registrazione a Ginevra con André Ekyan e con musicisti che mi stimolavano, avevo avuto la sensazione che le cose stessero migliorando e che avrei potuto essere ancora parte attiva del jazz moderno. Nella primavera 1950, dopo alcuni mesi di sano vagabondare a bordo di una Lincoln con rimorchio che mi ero comprato dopo aver venduto l'appartamento a Pigalle, tornai a Roma all' "Open Gate" questa volta con Ekyan. Ma i problemi furono più o meno gli stessi dell'anno prima: qui addirittura mi chiesero di girare l'amplificatore verso il muro perchè i ricchi clienti del locale non potevano chiaccherare! (Eh sì, è capitato anche al grande Django!) La novità delle registrazioni di quell'anno era una Mogar elettrificata. La chitarra elettrica, uno strumento con il quale prendevo sempre più confidenza e che avrei in seguito spesso preferito alla Selmer acustica (cd20/cd21).
Febbraio 1951: un momento importante nella mia carriera artistica perchè, dopo un periodo di "esilio" e di disaffezione dalla musica, ritornai in grande stile scritturato al "Club Saint-Germain-des-Prés". I musicisti (Bernard Hullin,tr; Hubert Fol, as; Raymond Fol, p; Pierre Michelot,cb; Pierre Lemarchand, batt),
tutti molto più giovani di me, mi ammiravano e si aspettavano grandi cose, come deluderli?! Inoltre il loro modo di suonare era nuovo ed io mi resi conto di quanto, anche per un "genio" come me, fosse importante l'ambiente musicale (cd18/cd25). Finalmente potevo tornare ad esprimermi e, soprattutto ad essere capito come artista e non come simulacro della musica francese.
Il "Club Saint-Germain" mi aveva dato nuova linfa e lì feci anche una esposizione dei miei quadri.
Qualcuno ha scritto di me che in quel periodo ero diventato "adulto". Mi ero stabilito con la mia famiglia all'hotel "Crystal" di fronte al club ed andavo al lavoro tutte le sere e puntuale.

Ma, come d'abitudine, ogni tanto mi piaceva lasciarmi andare, magari giocandomi qualche migliaia di franchi, e a volte (ma non troppo spesso) vincendo, come quella volta in Belgio che, dopo aver vinto una grossa cifra al Casino di Knokke, me ne tornai a Parigi in taxi.
Nel 1952 faccio la parte, (indovinate un po'?!) di uno zingaro in un film (prevedeva anche la partecipazione di Sidney Bechet, Claude Luter, Hubert Rostaing, Louis Armstrong e Nilla Pizzi) "La Route Du Bonheur" che in Italia uscì con il titolo "Sorridi e Taci". Il film era veramente poca cosa ma, essendo i filmati che mi riguardano molto rari gli appassionati hanno la possibilità di vedermi "in movimento".
"In movimento" sembravo essere ritornato con la registrazione del 10 marzo
1953 (cd31) che sarebbe dovuta servire per promuovere una tournée, l'anno seguente, in tutta Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.
A coronamento di questo ottimo momento ci fu la serata a Bruxelles in cui suonai con Dizzy Gillespie, un vero tripudio di applausi!
Le cose andavano bene ora, mi ero stabilito a Samois Sur le Seine un piccolo villaggio vicino a Fontainebleau. Qui mantenendo i contatti di lavoro con i club parigini potevo allo stesso tempo dedicarmi alla pesca, alla pittura ed al biliardo.
Ogni tanto, soffrivo di mal di testa "Pressione troppo alta" mi dissero, ma dai medici preferivo restarci il più lontano possibile.
Alcune serate, ancora un'altra registrazione in aprile (cd31) con "Fats" Sadi Lallemand(vib), Martial Solal (p),Pierre Michelot (cb) Pierre Lemarchand (batt) ed il cerchio si chiude.
In questo caso mi sia concesso di non raccontare i fatti era il 16 maggio 1953.

P.S.: Vorrei cher amis de la guitare, ringraziare:
Charles Delaunay ("Django Reinhardt" Ashley Mark Pub. Comp. 1981), Roger Spautz (Django Reinhardt, Mythe et Réalité" ed. RTL 1983), Patrick Williams ("Django" ed. du Limon 1991),
François Charle - Paul Hostetter ("Selmer Guitars" Vintage Gallery aprile1994) François Billard ("Un Géant Sur Son Nuage" ed. Lieu Commun 1993),
Alain Antonietto (vari numeri della rivista "Études Tsiganes") Fabio Lossani (“Django in Italy” ed Carish 2010 )
che così bene (e così tanto!) mi hanno aiutato a ricordare.

Scritto sotto dettatura (?) da Fabio Lossani

"Propria di Django era la caratteristica di non aver mai saputo stabilire una distinzione tra reale e sogno e di vivere nel mondo meraviglioso della sua immaginazione..." Charles Delaunay

Discografia Ragionata:

(Il numero d'ordine dei compact disc proposti non è cronologico ma fa riferimento alla completa discografia di Reinhardt in Cd da me compilata e di prossima pubblicazione).

# 1 = "Djangologie" cofanetto 10cd Emi 7806592
# 11 = "Django Reinhardt 1910-1953" JazzTime - Emi 7905602
# 12 = "Souvenirs - Django Reinhardt & Stèphane Grappelli with The Quintet Of
The Hot Club Of France " London - Decca 820 591
# 13 = "Django Reinhardt e Stephane Grappelli avec le Quintette du Hot Club de
France 1934-1935" Music Memoria 30282 -Virgin
# 14 = "Django Reinhardt & Stephane Grappelli" Vogue 655606
# 15 = "Rare Django" Swing 8419
# 16 = Integrale Django Reinhardt vol.1: "Presentation Stomp" 1928-1934 (2CD)
- Frémeaux & Associés
# 17 = Integrale Django Reinhardt vol.2: "I Saw Stars" 1934-1935 (2CD) - Frémeaux & Associés
# 18 = "Django Reinhardt & The Hot Club Of France Quintet" Musidisc 8473

# 19 = "Django Reinhardt in Brussels" Verve 513 947
# 20 = "D. Reinhardt/S. Grappelli/A. Ekyan <Rome,1949-1950> vol.1" RCA PD71297
# 21 = "D. Reinhardt/S. Grappelli/A. Ekyan <Rome,1949-1950> vol.2" RCA PD71298
# 22 = Integrale Django Reinhardt vol.3: "Djangology" 1935 (2CD) - Frémeaux & Associés
# 23 = Integrale Django Reinhardt vol.4: "Magic Strings" 1935-1936 (2CD) - Frémeaux & Associés
# 24 = "Django and his American Swing Big Band" Jass Records JCD 628
# 25 = "The Django Reinhardt Story" Deja Vu Reference Edition 32
# 26 = Integrale Django Reinhardt vol.5: "Mystery Pacific" 1936-1937 (2CD) - Frémeaux & Associés
# 31 = "Peche à La Mouche" 2cd -Verve 835418
# 38 = "Django Reinhardt" 2CD con partiture Vogue 37692

 

 

 
 
   
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