Meredith D'Ambrosio
di Adriano Pateri
Durante tutti i miei circa 60 anni di passione incondizionata per la musica jazz ho sempre mantenuto una preferenza speciale per i cantanti, in particolare di genere femminile, anche perché quelli di genere maschile sembrano essere meno numerosi e forse meno significativi. Il sound della voce, l'intonazione, il timing la creatività nell'esposizione dei temi e nell'improvvisazione ('scat') sono gli elementi che mi hanno attratto e soprattutto insegnato molto musicalmente, per non parlare dell'importanza dei testi dei brani, spesso pieni di poesia. La preferenza si è inoltre accentuata nei casi in cui il o la cantante erano anche pianisti di più o meno alto livello.
Ho cominciato con Bessie Smith fino alle tre grandi caposcuola dell'epoca di mezzo: Bille Holiday, Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan, seguite dalle grandi Carmen McRae e Betty Carter. Poi con gli anni le grandi cantanti contemporanee i cui nomi riempirebbero un libro, anche se ci tengo a citare qui Janice Borla, Tierney Sutton, Greta Matassa, Judy Waxley, Karrin Allison, tra le bianche, e le grandi Dianne Reese, Deborah Brown, René Marie, per non dimenticare la mia signora e grande pianista Shirley Horn, tra le afroamericane. Un universo canoro in cui è decisamente impossibile evidenziare i diversi livelli delle qualità individuali, tecniche e musicali.
Ma nel bel mezzo di questo ampio arco temporale, un giorno qualche anno fa, così... improvvisamente ed inaspettatamente, mi è apparsa questa figura che mi ha folgorato. Meredith d'Ambrosio, una cantante diversa e anche ottima pianista. Bella donna dall'aria semplice e quasi sbiadita che mi ha ricordato le figure delle donne nel mito dei primi anni del secolo. Non so se il cognome che suona italiano sia di discendenza italica. Non ha importanza. Quello che conta è che il suo modo di cantare semplice, intimo e quasi dialogato mi ha colpito e stordito. Nell'arco di pochi mesi ho collezionato tutti i suoi dischi, fino all'ultimo. Volevo sapere tutto di lei. Ho letto tutto della sua vita, cercato episodi ed interviste sulla rete e le ho scritto. Mi ha risposto e continuiamo a scriverci saltuariamente. Con pazienza ho imparato a conoscerla, o pensato di conoscerla, e ad ammirarla senza riserve sia sul piano umano che su quello artistico. E' una donna che ha molto sofferto la perdita prematura del marito, il grande pianista Eddie Higgins ma che ha saputo reagire grazie anche al suo talento artistico multiforme. Meredith non è solo cantante e pianista ma dipinge cose e paesaggi che riflettono completamente il suo modo di cantare e suonare. Qualche dipinto è riprodotto nelle copertine dei suoi dischi. Scrive testi poetici su temi di musica jazz e crea perfino delle composizioni a mosaico servendosi di gusci di uova. Ha perfino scritto uno screenplay apparso in un libro. Un talento multiforme definito da qualche critico: rinascimentale. E così, con gli anni e dietro ad una imponente scenografia popolata da tanti e grandi talenti canori, mi è rimasta impressa la figura di questa artista anticommerciale che pur non essendo molto nota al grande pubblico del jazz, rimane pur sempre per me una stella brillante di luce propria.
Dimenticavo, ama perdutamente gli uccelli! Il titolo di uno dei suoi album è: "Little jazz bird" che è anche il titolo di uno dei suoi brani e che soprattutto, ne sono convinto, sia quello che lei pensa di essere nell'intimo.
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