di Alberto e Corrado Barbieri
Ma cos'è lo Swing?
Gli autori che cominciarono a scrivere di jazz si sforzarono subito di analizzare e definire la parola SWING, ma con risultati poco convincenti. Il famoso a quei tempi "balancement" fra il ritmo e la melodia enunciato da Hugues Panassiè fu poco illuminante, come pure quelli che lo definirono "un particolare modo di sistemare la melodia nel ritmo". D'altronde era gia' evidente che qualsiasi definizione dello swing collegata al ritmo e ai tempi era insufficiente e incompleta se non
collegata anche allo slancio espressivo. Lo swing iniziava quindi a non essere piu' considerato solo un modo stimolante di eseguire un brano di jazz, ma un elemento basilare che caratterizzava quella musica. Lo
confermavano esplicitamente Duke Ellington e Irving Mills nel loro "It don't mean a thing if it ain' t got that swing".
Trascorso il giusto tempo che sempre la storia esige per definire un fenomeno o un fatto, ci sembra particolarmente centrata ed esplicativa la definizione che ne da' oggi lo scrittore e musicista italiano Duccio Castelli - Lo swing (suonare con swing), non è ne' l'andare in due quarti, né in quattro quarti, e neppure il tenere necessariamente tempi veloci, ma avere ritmo, drive, scatto; anzi non esiste proprio parola se non SWING e non esiste oggettivo riscontro se non nella sensibilità musicale, anzi jazzistica, di chi ascolta. E' inequivocabile e allo stesso tempo indefinibile. Se definizione possa essere azzardata, per me è questa: "Un illuminato scollamento dal tempo del metronomo, sia in avanti che indietro, ma senza accelerare o rallentare; senza una possibile regola scrivibile".
Pertanto - eccome - la Creole di King Oliver aveva swing, per non parlare degli Hot Five di Armstrong e a suo modo anche Bix, cosi' come ovviamente ne hanno avuto e ne hanno tutti i buoni jazzisti, classici o moderni che siano (nel moderno crearono lo swing ritardato, pendente "all' indietro").
|