Kenny Clarke
 
 
Blindfold Test
 
Menu' Blindfold Test
 


Kenny Clarke
Panorama dalla Senna



A cura di Ettore Ulivelli

 

Intervista di
Burt Korall
Down Beat – dicembre 1963

 

 

​Il tempo non e' l'essenza di Parigi; scorre senza gli impedimenti di coloro che vorrebbero trascinarlo in un combattimento. I francesi versano poco acido sulle scadenze – danno valore alla vita. Sono orgogliosi, patriottici, indomiti. Essi amano i loro simili e coloro che considerano tali.
​Kenny Clarke, compositore, batterista jazz e pioniere, e' stato caldamente abbracciato da "Lady Parigi" e sembra poco incline a liberarsene. Si e' organizzato una vita piena, dice, durante sette anni dopo aver lasciato la scena frenetica di New York per vivere a Parigi.
​In molti nuovi aspetti, e' un uomo nuovo.
Clarke appare soddisfatto della sua situazione: vive bene, si sente bene e appare felice. Non ha mai cessato di sorridere durante un paio d'ore di recente conversazione. E' una certa celebrita' a Parigi, in particolare a St. Germain il quartiere degli studenti ed e' molto accessibile ai suoi ammiratori.
​Un musicista francese lo ferma per chiedergli di una registrazione in programma e dove avrebbe trascorso le successive quattro settimane di vacanze.
​“Dovrebbe capitarmi un'opportunita' assolutamente eccezionale per strapparmi da qui'”, risponde il batterista, “Mi piacerebbe ritornare a New York per una visita – e probabilmente lo faro' piu' tardi, quest'anno, ma certamente non per rimanervi. Perche' dovrei? Ho speso troppo tempo per costruirmi qualcosa qui"..
​Dopo una pausa, spiega: “Di recente, ho portato qui mio figlio per iscriverlo a scuola – questo e' un buon ambiente in cui crescere. E' rilassato e VERO. I francesi capiscono l'essere umano; i problemi vengono discussi. Gli americani non hanno tempo per questo”.
​Clarke afferma che la struttura famigliare francese e' piu' solida di quella negli Stati Uniti.
“C'e' un senso di vicinanza,” dice: “Quando qualcuno in una famiglia francese sbaglia, non viene rifiutato. Tutti i componenti la famiglia cercano di capirne le ragioni per fare in modo di aggiustare le cose.” Vivendo tra i francesi, Clarke dice, si viene a patti con se stessi ed e' piu' facile affrontare situazioni e persone. A ciascuna persona incontrata, viene accordato “ il beneficio del dubbio”; si tende la mano amica.
​“Cerco di essere una brava persona”, continua, ”e mi prendo cura dei miei affari sul piano professionale.”
​La conversazione cambia quando richiamo nomi e luoghi del jazz e Clarke si scalda nell'affrontare l'argomento che gli sta' piu' a cuore.
​“La nuova generazione dei musicisti americani sta uccidendo il jazz,” dichiara il 49enne musicista. “La ricchezza della musica sta rapidamente scomparendo; io metto in dubbio l'ambizione dei musicisti piu' giovani; la loro abilita' musicale e' molto inferiore a quella esistente ai tempi in cui io stavo cercando di inserirmi.”


​E' opinione di Clarke che vi sia un feeling sconcertante di aggressivita' nella “nuova musica” ascoltata nei dischi americani pubblicati recentemente. E inoltre, trova molta di questa musica “priva di forma, vuota e priva di significato. I giovani cercano gli strattagemmi e le strade facili mentre non ce ne sono.”
​Il batterista attribuisce parte della colpa alle case discografiche, sempre affamate di dollari facili. Cita la consuetudine di registrare talenti “inferiori” e si scaglia contro il fatto che diversi musicisti “estremamente promettenti”, siano stati registrati prima di aver meritato quel privilegio.
​“Il riconoscimento che arriva troppo presto, e' spesso peggiore di quello che non arriva affatto” - dice.
​“Quando stavo crescendo,durante gli anni '30”, puntualizza, “una data di registrazione rappresentava un privilegio. Dovevi essere gia' bravo, o non eri chiamato – era semplicemente questo!
Tutti i musicisti che conoscevo cercavano di fare la maggiore esperienza possibile in modo da essere pronti, per una registrazione o per unirsi ad gruppo importante”.


​Clarke parla con grande apprezzamento dei suoi trascorsi. Con soddisfazione, richiama il tempo “quando tutti venivano al Minton's per ascoltare gli ottimi musicisti che affollavano il palco, Non e' vera la storia secondo la quale suonavamo appositamente in modo strano per escludere i musicisti che non appartenevano alla nostra cerchia. Tutto cio' che esigevamo era che il musicista ci sapesse fare. Quando saliva sul palco doveva sapere…..”
​L'uomo che ha portato al jazz uno stile di drumming piu' sciolto e creativo, perde un po' del suo fervore di conversatore quando parla dello scenario americano attuale.
“Qualcosa di malato sta accadendo al jazz in America”, insiste, “Sento parlare molto di Crow Jim (la segregazione al contrario nei confronti dei bianchi – quella verso i neri era definita Jim Crow n.d.t). ….Come puo' un musicista che non sia fuori di senno, denigrare Stan Getz o persone come lui? Sono tutti una manica di...sai bene cosa. Una razza puo' imparare dall'altra. Nessuna possiede tutto – questo atteggiamento puo' danneggiare molto il jazz.”
​Clarke e' arrabbiato – senza alcun dubbio. Guarda attorno al caffe', poi esplode: “ saro' denigrato per questo….ma devo ammettere di non essere interessato ad allearmi con le cause. Sono un nero: so cio' che sta accadendo. Non volto la schiena alle realta' perche' sono lontano 3000 miglia. Faccio cio' che posso mentre bado alla mia vita. But,….per quanto mi concerne, la musica e' importante. E' l'eredita' che lasciamo alle nostre spalle.”

​All'inizio di qualsiasi rivoluzione o cambiamento, vi e' sconvolgimento. Ad esempio, c'e' solo da ritornare agli anni '40 quando il jazz subi' alcune alterazioni per mano di Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Thelonious Monk e lo stesso Kenny Clarke.
Oggi, il jazz nel bene e nel male sta nuovamente cambiando. Una cosa e' certa: non puo' rimanere fermo. L'arte, ed il jazz e' arte nei suoi momenti migliori, e' in costante evoluzione. Anche i musicisti jazz devono muoversi con i tempi che attraversano. Come disse un musicista: “ Invecchi molto rapidamente in questo business”.
​Kenny Clarke, appartenente un tempo all'avanguardia, ha avuto una reazione diventando conservatore? Forse si', forse no. Ma ascoltandolo in una qualsiasi serata al Club St. Germain, un cafe' bar dai prezzi oltraggiosi, nel cuore del quartiere studentesco, e' come assistere ad una lezione di jazz drumming.
​La sua creativita' non si e' ottusa. Conserva sempre una grande autorevolezza; la naturalezza con cui estrae i suoni dal suo strumento e' quella di un completo professionista. Stacca il tempo in modo insinuante mentre suona ritmi multipli e figurazioni, semplici e complesse, che abbelliscono il discorso ritmico in modo giudizioso ed eccitante.


​Clarke rimane uno tra i maggiori drummers che rifiuta di adagiarsi sugli allori perche' per lui la batteria rappresenta un impegno per tutta la vita. “Non smetto mai di studiare, ascoltare od esercitarmi”, dice.
​Lo si ascolta nei giovani batteristi malgrado molti di loro, inclusi i suoi favoriti, Billy Higgins e Louis Hayes, non si rendano conto di quanto il convertito parigino sia responsabile di come essi reagiscono alla musica.
​Nonostante il suo atteggiamento negativo nei confronti di molta musica proveniente dagli Stati Uniti, il batterista non chiude le sue orecchie pretendendo che non esista.
“Sono sempre la' ad ascoltare i musicisti che si fanno avanti e non c'e' un disco di una certa importanza che non ascolti a casa.​ Mi sono imposto di ascoltare Eric Dolphy quando era a Parigi”, dichiara con enfasi, “Ho speso la mia serata libera ad ascoltarlo e devo dire che non e' il mio ideale, ma c'ero. Perche' non mi e' piaciuto? Suona uguale con tutti gli strumenti che usa e non sembra esserci alcuna costruzione o forma nei suoi assolo.”

​I suoi commenti su Gunther Schuller e John Lewis, il suo partner nel Modern Jazz Quartet sono provocatori:
​“Cio' che fa Gunther non ha alcuna relazione con il jazz come io lo conosco. Lui e' un bravo compositore di musica classica ed uno straordinario insegnante; cio' malgrado quando usa idee jazz nelle sue composizioni, semplicemente non funziona. Per quanto concerne John, la sua musica e' un po' troppo blanda e pretenziosa per i miei gusti. Mi sono addormentato l'ultima volta che ho ascoltato dal vivo il MJQ.
​Milton Jackson, Sonny Stitt e Ray Brown sono tre uomini dell'ultima generazione ad avere le credenziali in regola. Donald Byrd, Cannonball e Nat Adderley sono i tre tra piu' giovani che apprezzo maggiormente".
​Alcuni potrebbero affermare che vi sia uno schema, un ciclo che i jazzisti attraversano. Il rivoluzionario odierno e' il conservatore del domani. Forse e' cosi'. Nel caso di Clarke la questione e' in dubbio, ma non importa.
​Kenny Clarke puo' ancora far paura quando suona e passera' molto tempo prima che l'elettricita' si spenga e la sua mente fertile cessi di inviare alle sue mani ed ai suoi piedi gli impulsi creativi che hanno fatto di lui una forza definitiva nel jazz per cosi' lunghi anni.
​Klook (altro soprannome con il quale e' stato definito, n.d.t.) rifiuta di tirare il tappo.

Burt Korall
Down Beat – dicembre 1963

.........................


N.d.T
Nel jazz, la contraddizione regna sempre sovrana e non bisogna mai fermarsi alle dichiarazioni o convinzioni dei suoi protagonisti. A tale proposito si mettano a confronto le opinioni di Andre' Previn sul Gunther Schuller ed il MJQ di John Lewis con quelle di Kenny Clarke…

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
  scrivi a info@corradobarbieri.com