Down Beat intervista a Buddy Rich
 
 
Blindfold Test
 
Menu' Blindfold Test
 

Down Beat intervista a Buddy Rich

 




di Ettore Ulivelli

 

 


Nel febbraio 1994 Down Beat pubblica un numero intitolato “The classic interviews”, che ripropone una serie di interviste esclusive svolte molti anni prima. Tra i nomi piu' prestigiosi intervistati: Ellington, Armstrong, Parker, Gillespie, Miles Davis, Count Basie, Frank Sinatra e Ornette Coleman. Tra queste , ho scelto di proporvi quella dedicata a Buddy Rich, il piu' grande batterista di Big Band nella storia del jazz. Appare nell'aprile del '67.
Nel corso di questi nostri incontri, vi accorgerete di una certa mia insistenza nei confronti dei batteristi; devo confessarvi che, avendo suonato la batteria negli anni ' 60, mi e' rimasta una inestinguibile passione per questo strumento al quale ho riservato le mie foto piu' “spettacolari”. Dopo tutto, diciamolo: tra tutti gli strumenti che affollano il palco, la batteria e' il piu' scenografico, specialmente quando gli spots ne contornano l'immagine. La foto di Buddy Rich che vedete, non lo attesta?


...Perche' Buddy ha lasciato la sicurezza che gli deriva dall'essere probabilmente il piu' pagato sideman del business per gli inevitabili mal di testa nel dover amministrare e fronteggiare la propria band?
“Cos'e' la sicurezza", chiede. “C'e' sicurezza nell'attraversare un incrocio? Credi che un benzinaio abbia dei mal di testa? E quando alla sera rientra a casa puzza sempre di benzina, giusto?”
Ma perche' ha lasciato la band di Harry James?
La risposta e' succinta: “Perche' c'era bisogno di buona musica in questo business” - e aggiunge: “ Certo, avevo un lavoro ben pagato. Ma per quattro anni e mezzo non ho suonato un cavolo. Ero la', a fare gli stessi gesti, sera dopo sera. Conoscevo i brani che avrei suonato e anche il tempo che avrei staccato. Facevo due assoli nella band e, al diavolo, non mi andava bene!
Era la sicurezza, certo. Ma che c'e' di bello nella sicurezza se non sei felice, specie se sai di poter fare meglio, essere piu' creativo e fare emergere la tua personalita' ? Ma se sei, come dire, incastrato nella band di qualcun'altro, che senso ha incassare un sostanzioso assegno settimanale? Cosi', quando mi si e' presentata l'opportunita', l'ho colta.”

Ed e' ancora contento della sua decisione?

“Contento? Non potrei esserlo di piu'. Lasciamelo ripetere, non potrei esserlo piu' di ogni altra cosa sulla terra. I risultati sono magnifici, la band e' eccellente , e' una band contemporanea. E' bello lavorare con i ragazzi che ne fanno parte. Si divertono a fare cio' che suoniamo perche' fanno della musica giovane e proiettano la loro giovinezza attraverso cio' che suonano. E, come vedi, gli spettatori arrivano.”

Seguendo questo pensiero, fa un'analisi dell'odierno stato del business.
Secondo Rich, il tentativo di ritornare alle vecchie band e' autodistruttivo. Il suo consiglio e' di dimenticare i tempi andati e le vecchie impostazioni concentrandosi invece sui suoni odierni.

“Non puoi ingannare il pubblico”, osserva, “non puoi continuare a dire, “questa e' la band originale di Glenn Miller o di Tommy Dorsey. Non puoi continuare questa finzione. Il sound di Glenn Miller era insipido nel '42 e sicuramente non sarebbe abbastanza accettabile nel '67. Era artefatto, meccanico e senza feeling – non lo avresti colto nemmeno se fossi stato ipnotizzato. Sapevi che tutte le sere gli arrangiamenti dovevano essere suonati allo stesso modo, i tempi uguali, persino gli assoli uguali – non vi era alcun coinvolgimento emotivo.”

Ora tutto sembra andare alla grande per Rich, ma non lo era 21 anni prima quando era duro organizzare una Big Band propulsiva. Proprio in quel periodo post-bellico stava affermandosi il trend dei piccoli complessi, aiutato da declino del ballo.
E quando i gestori delle sale da ballo chiesero a Rich di abbassare il tono del jazz, si fece arrogante insistendo che avrebbe fatto a modo suo ("Questo e' cio' che suono, prendere o lasciare!"). L'avventura della Big Band non duro' a lungo.
In seguito riprese a costituire Big Band e ancora una volta gli scettici predissero che le band non sarebbero durate. A Las Vegas, in particolare, ci si chiedeva non se, ma quando Rich sarebbe tornato con HarryJames a ritirare il suo cospicuo assegno settimanale.

Queste previsioni spinsero Rich a sbugiardare i suoi detrattori?

“No di certo” risponde, “Non potrebbe importarmene di meno e se hai capito qualcosa di me, sai che non me ne frega niente dell'opinione di chiunque.
Faccio esattamente cio' che penso sia giusto per me. Ma questo mostra quanta gelosia ed invidia vi siano da parte di altre persone che hanno diretto delle bands senza riscuotere il successo che questa mia ha avuto.”

Ma allora, visto il successo, perche' c'e' stato un percettibile cambiamento di musicisti tra il primo ed il secondo ingaggio al The Chez? (Un club molto scic di Holliwood -N.d.T) “Il mio pianista, John Bunch, era andato con Tony Bennett” rispose, “John non e' piu' un ragazzino e lavorare per Tony significava viaggiare di meno, cio' che lo attirava.
Comunque ho licenziato una mezza dozzina di altri...” - (Ovviamente vi sono due versioni sulla storia dei licenziamenti. Pettegolezzi a Los Angeles parlavano di reciproca insoddisfazione e una chiaccherata fatta con due presunti licenziati aveva rivelato l'esistenza di una certa confusione sul fatto se la mezza dozzina fosse stata licenziata o avesse lasciato. Qualunque sia stata la vera storia, il dissenso all'interno della band ebbe rapida fine) - “Se all'inizio ti assumo,” commenta Rich, “significa che mi piace come suoni e mi piace la tua personalita' – e per me, licenziare qualcuno rappresenta una noia, ma e' un altro modo per dire:” Sei un detrimento a quanto cerco di produrre”.

La conversazione poi, si sposta sull' "avant garde", a proposito della quale ricorda il contatto piu' divertente avuto. Era accaduto al Pacific Jazz Festival in California. La sua band doveva suonare dopo Il Charles Lloyd Quartet e Rich attendeva il suo turno dietro in tendone che copriva il palco all'aperto. Sbirciando dal pertugio usato dai fotografi, vedeva da dietro il pianista di Lloyd, Keith Jarrett, pizzicare le corde del piano, gesticolando forsennatamente mentre si sporgeva dalla tastiera.

“Era la cosa piu' pazza che avessi mai visto: ero diventato quasi isterico, “Rich aggiunse, “credo di non aver mai riso cosi' tanto. Non potevo concepire il fatto che quelli pensassero di fare musica. E quel batterista (Jack de Johnnette)! Non aveva la minima idea di cosa stessero facendo gli altri musicisti. E' stata la piu' grande messinscena dal tempo degli Stooges.”

(....) Infine, commentando la sua frenetica attivita', responsabile del primo infarto ( ed il piu' grave dei tre subiti) dice: “non posso preoccuparmi di quello – mi riguardo, non ho cattive abitudini e continuo a lavorare. Qualsiasi medico puo' dirti che, nel caso di infarto, devi essere attivo".

Ma perche' si spinge fino allo sfinimento? La risposta ha l'onesta' che cancella qualsiasi diniego:

“Man, perche' lo adoro!”
Down Beat
1994

Jarrett e de Johnette cosi' impietosamente ridicolizzati! Sembrerebbe una dimostrazione di imperdonabile arroganza da parte di Rich o mancanza di pur minima conoscenza dei nuovi stili che stavano nascendo... tutto cio' potrebbe essere vero se non si tenesse conto del periodo: 1967. Jarrett ha 22 anni e uno dei suoi primi LP e' del '71, quindi l'uomo era ancora alla ricerca di uno stile o una direzione, come del resto avvenuto alla la maggior parte dei grandi, a partire da Coltrane. Ascoltati 20 anni dopo, la valutazione avrebbe potuto essere diversa. Lo stesso dicasi per de Johnnette.

 


Ettore Ulivelli

 
   
  scrivi a info@corradobarbieri.com