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Bessie Smith
di Duncan Schiedt
Sono in tanti a considerare la sua voce tra le maggiori del Novecento, e di certo ai suoi tempi e nel suo ambiente non ebbe rivali: il titolo di “Imperatrice del blues” era assolutamente meritato. Possiamo solo cercare di immaginare dove sarebbe arrivata se non ci fosse stato il blues. Sarebbe diventata una cantante di gospel come Mahalia Jackson? O, più facilmente, avrebbe continuato a girare con gli spettacolini di black vaudeville cui dedicò gran parte dell’inizio della sua carriera? È evidente che avrebbe potuto impiegare quella splendida voce in qualunque genere di musica avesse scelto, e poi nel suo repertorio c’erano tanti pezzi famosi di musica “popolare” e leggera che con pochi aggiustamenti Bessie Smith avrebbe potuto tranquillamente cantare oggi. Ma è con il blues che è stata sempre identificata ed esaminare la sua vita è comprendere qualcosa di quel che il blues significò per lei e per il suo vastissimo pubblico.
Elizabeth Smith, “Bessie”, era nata il 15 aprile 1894 a Chattanooga, Tennessee, in una poverissima famiglia che viveva in una baracca di legno con una sola stanza. Suo padre, predicatore battista part time, morì durante la sua infanzia. Sua madre morì insieme con due dei suoi fratelli il giorno prima del nono compleanno di Bessie. Una sorella più vecchia, Viola, si batté coraggiosamente per far sopravvivere insieme la famiglia, anche se era costretta a occuparsi del proprio figlioletto.
Un fratello, Clarence, se ne andò nel 1904 per unirsi ad uno spettacolo itinerante di minstrel, forse mettendo una simile idea nella testa di Bessie, che già allora cantava agli angoli delle strade e davanti ai saloon nella parte più orrenda della città, accompagnata alla chitarra da un fratello più giovane, Andrew. Lei andò regolarmente a scuola, e vi fece delle esperienze che le sarebbero servite in futuro, recitando in piccole commedie di classe e unendosi ai gruppi di canto. In seguito, partecipò vittoriosamente alle gare di canto dell’Ivory, un piccolo teatro locale.
La vita sempre sul filo del rasoio di quei primi anni, che avrebbe potuto spezzare lo spirito di una persona meno giovane, sembrò solo indurire, e in qualche maniera, involgarire la ragazza che, secondo il suo biografo Chris Albertson*, sviluppò “la straordinaria combattività che mostrò negli anni della maturità”. Avrebbe lasciato Chattanooga con una saggezza maggiore di quella della sua età.
L’occasione venne quando aveva quattordici anni; lasciò la città come componente della compagnia di minstrel della quale aveva fatto parte suo fratello Clarence alcuni anni prima. Con un evidente talento, rozzo ma promettente, si imbarcò in un lungo periodo in cui apprese le leggi del palcoscenico, i rudimenti della danza, il modo di sviluppare un repertorio e di sentire quel che voleva il pubblico.
Nella troupe trovò un primo e importante maestro, una cantante solista di nome Gertrude “Ma” Rainey, che aveva il doppio della sua età ed era anni luce più avanti in quanto ad esperienza. “Ma” era la moglie del fantasista Will “Pa” Rainey. Molto prima che i due Rainey girassero con una propria compagnia, cosa molto importante per Bessie, “Ma” era una cantante di blues, e in questo era un autentico pioniere.
Come per molta musica con una identità nera, l’albero genealogico del blues è avvolto nell’oscurità. È stato scritto poco sulla Negro Music nel Sud dei primi anni, e anche meno sul metodo di cantare dei cantastorie locali che ebbe il suo sviluppo nel blues. Si può solo immaginare come la forma si sia evoluta nel tempo: voci soliste che risuonavano su lavori ripetitivi e faticosi, con un vigore ritmico che corrispondeva alle necessità lavorative. Questi canti di lavoro passarono di generazione in generazione, trasformandosi col tempo in canzoni narrative tramandate da cantori itineranti, che viaggiavano lungo le strade di campagna e nelle vie delle città, accompagnandosi con la chitarra o con altri strumenti a corda. In genere questa era la loro sola fonte di guadagno e quanto migliore era la storia tanto maggiore era il compenso, o almeno così speravano. I cantanti, invariabilmente uomini, cominciarono a cantare di situazioni autentiche, di sentimenti reali, di vere frustrazioni, spesso della morte stessa.
Sia che i testi fossero creati improvvisando, sia che provenissero da una riserva di versi tenuti a mente, una delle caratteristiche distintive del blues era la ripetizione del primo verso. Si suppone che i cantanti abbiano creato questo modello formale per guadagnare tempo mentre pensavano al verso conclusivo, o per prepararsi mentalmente alla strofa seguente. Il blues, in mani esperte, poteva raccontare una storia semplice in parecchie strofe, con un inizio e una fine. Altri cantanti potevano fare assegnamento sul loro patrimonio di strofe mandate a memoria e unire quelle di significato attinente senza che ci dovesse essere una trama evidente. Certamente, dal 1912 “Ma” Rainey aveva approfondito quest’arte e, essendo praticamente la sola donna che cantasse il blues nel mondo dello spettacolo, si guadagnò la reputazione di pioniere.
La sua influenza su Bessie nel periodo relativamente breve della loro associazione deve essere stata significativa, sebbene non così prolungata né così forte quanto si è creduto in un primo tempo. Fu lei probabilmente ad introdurre Bessie al blues come forma, però il sapore del blues di “Ma” resta essenzialmente rurale, mentre quello di Bessie stava prendendo un inconfondibile carattere urbano. Nel corso degli anni in cui registrò i suoi dischi, “Ma” si circondò spesso di una strumentazione di carattere “country”, campagnolo: violini, banjo, kazoo e jug, ovvero orci o bottiglie pieni a metà d’acqua in cui si soffiava con ritmo regolare, chitarre e washboard (tavole per lavare ricoperte di metallo ondulato su cui scorrono le dita protette da ditali da cucito). Bessie al contrario era attratta da accompagnatori piuttosto sofisticati, come pianisti di buona scuola, strumentisti di orchestre da ballo e anche, all’occasione, un organo. La distinzione era tanto culturale quanto generazionale. È significativo che la carriera discografica di Bessie si sia svolta sotto una delle maggiori etichette, mentre “Ma” per la sua produzione non andò mai al di là di case discografiche di secondaria importanza, regionali. La cantante più anziana, tuttavia, doveva dimostrare a Bessie l’efficacia dell’abbigliamento teatrale. Bassa e poco attraente, con un viso che poteva essere ben descritto come non bello, “Ma” non lasciava spazio a nessuno con la presenza sgargiante dei suoi abiti di scena. Copricapi di perline, fasce di gioielli sulla fronte, vesti fastose e scarpe scintillanti, unite ad un sorriso a denti d’oro sembravano prevalere sul suo aspetto insignificante e, per lungo tempo, “Ma” rimase in vetta nella sua professione e adorata dal suo pubblico, fosse quello di una grande città o di un minuscolo villaggio di campagna.
Bessie, comunque, era ancora solo un’osservatrice, dato che il salario di corista era pietosamente basso e non lasciava soldi per comprarsi dei costumi oltre all’essenziale per andare in scena.
Finalmente, Bessie lasciò la compagnia di minstrel, per lavorare in vari spettacoli del circuito di vaudeville nero T.O.B.A.(l’acronimo sta per Theater Owners Booking Association, Associazione di produzione dei proprietari di teatri, ma chi vi lavorava lo leggeva Tough On Black Artists, ovvero “duro con gli artisti neri”), occasionalmente come solista, talvolta come ballerina, ma con apparizioni di crescente responsabilità. Il quartier generale era il Teatro “81” di Atlanta, Georgia, dove Bessie fu vista da un certo numero di persone che lavoravano nel mondo dello spettacolo itinerante, compreso il pianista James P. Johnson che viveva ad Harlem e avrebbe avuto un ruolo importante nel futuro di Bessie. Molti di quelli che ebbero l’occasione di vederla sentirono che il suo talento di cantante trascendeva qualsiasi banale balletto le avessero assegnato per esibirsi, perché stava diventando una donna grassa, con i lineamenti marcati, e, col suo colore scuro, era svantaggiata nei confronti delle ragazze di pelle chiara, considerate molto più attraenti per il pubblico dell’epoca. Nel loro modo capriccioso, tuttavia, gli spettatori sembravano saper scegliere Bessie riservandole un particolare apprezzamento a dispetto della sua goffaggine.
Ci fu una breve collaborazione con un’altra giovane cantante di nome Hazel Green, che portò Bessie ad aprirsi la strada dell’attività solistica. Un importante ingaggio al cabaret Paradise di Atlantic City la mise in contatto con esperti professionisti quali il pianista e direttore Charlie Johnson, il fantasista Frankie “Half-Pint” Jaxon e la cantante Mary Stratford, per nominare qualcuno di quelli che partecipavano alla rivista. Quei contatti con importanti artisti del Nord e del Sud si sarebbero dimostrati fondamentali negli anni immediatamente seguenti.
A questo punto della sua vita, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, Bessie era quasi al massimo come esecutrice. La sua voce, ora pienamente matura, era profonda e piena, capace di arrivare in fondo ad un teatro in giorni in cui i microfoni erano sconosciuti. Cosa più importante, Bessie aveva sviluppato l’abilità di diventare una cosa sola col suo pubblico. Quando cantava la tristezza, la gente che le stava davanti si lamentava con lei, quando in una canzone gioiva, sorridevano con lei, quando parlava dell’infedeltà di un amante, assentivano consapevoli. Lei aveva preso le antiche lezioni di “Ma” Rainey raffinandole in un programma efficace, forse meno drammatico, meno vistoso di quello dei suoi contemporanei, ma c’era quella voce, l’impareggiabile strumento che poteva suonare nei più profondi recessi dell’anima, a far sì che ciascuno sentisse che Bessie Smith capiva non solo la propria vita, ma anche la sua. Per qualcuno, l’ascolto di Bessie era paragonabile ad una esperienza religiosa; questo le procurò un seguito immenso in tutta la nazione. Quando divenne un’artista discografica, il suo pubblico era più che pronto a rispondere.
Mentre girava lungo il Mississippi in quei primi anni, aveva incontrato e sposato un uomo chiamato Love, ma si sa poco di questo matrimonio, si pensa solo che lui sia morto presto, prima che Bessie raggiungesse veramente il successo. Un matrimonio più duraturo, ma tempestoso, nacque da un incontro avvenuto nel 1922 tra Bessie e un uomo di Philadelphia che si chiamava Jack Gee, variamente descritto come poliziotto o guardia notturna. Dato che si dice che fosse analfabeta, è più probabile che la sua occupazione fosse quest’ultima. Nel corso di quell’anno divennero sempre più intimi, e Bessie spostò la sua base operativa a Philadelphia. Da qui sarebbe iniziata la definitiva ascesa al successo.
Nonostante tutte le compagnie di giro che traversavano la nazione, con decine di cantanti di blues, commedianti e strumentisti che davano spettacolo giorno e notte, l’industria discografica era lenta a riconoscere il potenziale mercato rappresentato dalla popolazione di pelle nera, ora estremamente mobile, che si affollava nelle città del Nord con le loro opportunità di lavoro. I produttori di dischi sembravano incapaci di comprendere che anche la popolazione nera aveva soldi, e che avrebbe voluto spendere i dollari duramente guadagnati per il giusto tipo di talento.
Molti neri legati all’industria dello spettacolo, comunque, si accorsero delle nuove opportunità. Due di loro erano pianisti e compositori, Perry Bradford, dell’Ohio, e Clarence Williams, nato a New Orleans ma che da un po’ lavorava in un ufficio situato nell’area di Manhattan che ospitava gli editori musicali.
Fu Bradford a rompere il muro delle resistenze.
Convinto che il mercato fosse pronto ad accoglierlo, visitò le compagnie discografiche di tutta New York, persuadendo alla fine la OKeh a permettere alla sua cliente, Mamie Smith, di registrare. Ne risultò la pubblicazione di un disco con due canzoni di vaudeville che erano state previste per la cantante Sophie Tucker, ma che per problemi contrattuali furono offerte a Mamie Smith. Queste vendettero sorprendentemente bene, bene abbastanza da permettere una seconda seduta quattro mesi dopo, dedicata soprattutto al “Crazy Blues” scritto da Bradford. Le vendite furono sensazionali, e assicurarono a Bradford, a Mamie Smith e a “Crazy Blues” un posto nella storia della musica. Il guadagno fece di Perry Bradford un uomo ricco (almeno temporaneamente), offerse a Mamie Smith una carriera che sarebbe proseguita fino alla metà degli anni ’30 e assicurò alla OKeh l’immagine di casa discografica capace di attrarre gli ascoltatori neri quanto quelli bianchi.
Altre compagnie, fiutando l’opportunità, si attrezzarono rapidamente per seguirne l’esempio, e gli agenti si lanciarono in una frettolosa ricerca lungo tutta la parte orientale degli Stati Uniti, mettendo le mani su qualunque donna che fosse in grado di fare del blues in modo convincente e offrendo loro contratti discografici, in genere per una sola seduta di registrazione, con l’opzione per il rinnovo. Ne venne
fuori un miscuglio indifferenziato di cantanti. Alcune erano veterane artiste di palcoscenico abituate a offrire canzoni popolari ed anche semi classiche, altre, con un po’ di esperienza nel blues, erano semplicemente dei talenti minori, il cui successo poteva essere dipeso dalla loro bellezza o dall’espressività del viso, qualità che non le potevano aiutare in uno studio di registrazione. Ma le agende erano fitte di nomi, solo relativamente pochi dei quali potevano essere identificati con “classiche” cantanti di blues.
Ora che la sua base operativa era nel Nordest, Bessie era in una buona posizione per entrare nei ranghi degli artisti discografici, ma il suo ingresso fu rinviato. Da una parte, era occupatissima, spesso in tournée o legata ad una specifica località con poche opportunità di cercare un contratto per registrare. Corre voce, in verità che si fosse presentata ad una o due audizioni a New York, ma senza risultato, perché il direttore della OKeh la rifiutò ritenendola “troppo rozza”. Apparentemente la genuinità dei suoi blues era troppo per le sue orecchie raffinate, più in sintonia con cantanti colte come Eva Taylor che, volendo, poteva sembrare una concertista.
Infine, le prime registrazioni di Bessie destinate alla
pubblicazione furono incise nella cera in un giorno di metà febbraio del 1923, agli studi di registrazione Columbia nel Columbus Circle. Era accompagnata dal veterano Clarence Williams, che astutamente l’aveva posta sotto un contratto personale che gli assicurava la metà dei suoi onorari discografici. Né Bessie Smith né Jack Gee, che adesso era il suo consigliere finanziario, sembrarono rendersi conto dell’accordo finché non tornarono a Philadelphia e videro cosa Bessie era capace di portare a casa. Un immediato ritorno a New York e un confronto forzato da parte dell’aggressiva Bessie spalleggiata dalla forza formidabile del suo fidanzato, portò alla cancellazione del contratto. Da allora lei trattò direttamente con la Columbia, facendo del direttore discografico Frank Walker il proprio manager personale.
Il guadagno discografico era su una base di importo fisso, con 125 dollari pagati per ogni canzone pubblicata e dodici facciate di disco garantite all’anno. Non una parola era stata scritta o detta a proposito delle royalties, cosa abituale in quei giorni, specialmente nei confronti di artisti inconsapevoli dei propri diritti. Ma il valore di Bessie venne presto moltiplicato dal successo delle sue numerose sedute di registrazione. Nel primo anno, la Columbia registrò più del doppio di quanto era garantito dal suo contratto, e questo andamento sarebbe continuato. Le richieste che apparisse di persona erano così tante che arrivarono rapidamente a quattro concerti alla settimana. Quasi dal giorno alla notte Bessie era diventata una stella nazionale, almeno nella metà orientale della nazione. Inoltre, le tournée la portavano fino ai limiti estremi del circuito concertistico ed era ben conosciuta anche a Kansas City, Missouri. Le produzioni rivali, che offrivano stelle della canzone quali Clara Smith, Trixie Smith, Ida Cox, “Ma” Rainey e Alberta Hunter potevano girare nella stessa catena di teatri, ma alla metà degli anni ’20 nessuna radunava tanti fans quanti Bessie. Questo tipo di spettacoli era costruito attorno ad un tema abbastanza vago, con un cast di supporto che comprendeva altri cantanti, danzatrici, commedianti ed acrobati.
Col passare degli anni gli accompagnatori nei dischi di Bessie si fecero in genere migliori, come migliorava lo stesso jazz. Parecchie sedute coinvolsero anche la gemma emergente Louis Armstrong, allora impegnato con la Fletcher Henderson Orchestra. A parere di molti, tuttavia, un cornettista più consono a Bessie era un altro dei fiati di Henderson, Joe Smith. Tra i pianisti (più di una mezza dozzina erano quelli a disposizione della cantante) il suo preferito, su cui cadeva la scelta anche di molti suoi sostenitori, era James P. Johnson. Sebbene non si fosse messo in evidenza nella tradizione blues, Johnson aveva viaggiato molto, e aveva approfondito la tradizione musicale nera studiando e osservando. Il suo modo di accompagnare andava perfettamente d’accordo con il maestoso suono di Bessie, ed è un peccato che non sia apparso sulla scena che nel 1927, quando la carriera di Bessie era già ben avviata.
Nella vita privata Bessie, mentre il decennio passava lentamente,dovette affrontare numerose svolte. In momenti di stress o di depressione, si mise a bere pesantemente. Amici e colleghi diffidavano dei suoi sbalzi d’umore, poiché poteva tirare un pugno al primo che capitasse o fare osservazioni consapevolmente offensive, e le sue tirate erano pesanti e oscene. Con tutto ciò, Bessie aveva momenti in cui sognava di avere un bambino tutto suo. Anni prima, una ragazza che aveva incontrato in tour nel Sud promise che se avesse mai dovuto abbandonare suo figlio, Bessie avrebbe potuto averlo. L’occasione venne nel 1926, e Bessie e Jack ereditarono un bambino di sei anni che adottarono legalmente, chiamandolo Jack Gee Jr.
Nel 1930, Jack e Bessie avevano perduto anche ogni parvenza di vita coniugale, e il bambino era al centro di numerosi litigi, finendo con l’essere mandato in diverse case per il suo bene, destinato all’infelicità, quando Bessie in seguito perse la battaglia per la sua custodia.
La moda nella musica cambiò, inevitabilmente, e la musica di Bessie non fece eccezione.
L’artista femminile di blues stava uscendo di scena, come testimoniava la diminuzione delle offerte di registrazioni da parte della Columbia alla grande cantante.
Lei continuava a mantenere un seguito fedele, ma i guadagni al botteghino diminuivano insieme con le vendite dei suoi dischi, sebbene lei avesse scritto molto del proprio materiale, spesso di notevole spessore. Altre cantanti, come Ethel Waters, Alberta Hunter, Victoria Spivey, Edith Wilson, prendevano parte a musical di successo a Broadway e viaggiavano l’Europa in spettacoli preconfezionati, ma al di là di un fallito musical, “Pansy”, che non andò oltre tre rappresentazioni, Broadway non avrebbe visto Bessie in scena. Un cortometraggio, “St. Louis Blues”, che è il solo filmato rimastoci dell’Imperatrice del Blues, fu girato quell’anno ad Astoria, Long Island. Scelta come protagonista dal compositore W.C. Handy, Bessie offre un convincente ritratto di una donna tradita dal suo amante infedele che si lamenta sulla canzone del titolo in un bar per poveracci. L’orchestrina che l’accompagna è diretta da James P. Johnson e comprende rari primi piani di Joe Smith, del cornettista Thomas Morris e del batterista Kaise Marshall.
Tornando a Philadelphia, Bessie praticamente scomparve dalla scena di New York, se non per qualche occasionale apparizione in spettacoli di giro.
Una lunga interruzione dell’attività discografica ebbe fine con una seduta di un solo giorno nel novembre del 1933, in cui registrò quattro vivaci canzoni dell’interprete compositoreWesley Wilson. Gli accompagnatori formano un’affascinante, anche se inusuale, combinazione.
Il leader nominale e pianista è Buck Washington, della compagnia di vaudeville Buck and Bubbles, Benny Goodman è al clarinetto, Jack Teagarden al trombone, Chu Berry al sax tenore, Frankie Newton alla tromba e Billie Taylor al contrabbasso.
Sidney Catlett, ingaggiato come batterista, fu rifiutato da Bessie che non voleva “nessuno che decidesse il tempo per me. Una volta ho usato un batterista, e non andava bene”. Catlett, come raccontò John Hammond che aveva organizzato la seduta, ci rise sopra e tornò a casa.
Da quel momento fino alla sua morte, circa quattro anni dopo, Bessie apparve a New York solo raramente, in una memorabile occasione come attrazione principale al Connie’s Inn nella sua sede centrale di Manhattan.
Consapevole della necessità di allargare il proprio repertorio, aveva incluso canzoni popolari del momento e si era anche esibita nel ballo che era la follia del giorno, “Truckin’”, davanti ad una platea deliziata.
Correvano, come prevedibile, voci che le fossero riservate grandi cose: film a Hollywood, un concerto alla Carnegie Hall, altri dischi con le nuove amatissime orchestre swing. Ma Bessie tornò ancora una volta sulla strada, dove i guadagni, sebbene ridotti, erano sicuri, e lei si sentiva a casa sua.
Sul percorso che la portava a raggiungere una compagnia a Clarksdale, nel Mississippi, il 26 settembre 1937, viaggiando come passeggera in una Packard guidata dal suo compagno Richard Morgan, Bessie fu coinvolta in uno scontro con un pesante e lento autocarro, e per il trauma e per la perdita di sangue, con un braccio quasi staccato, si spense prima di poter arrivare in ospedale. Per molti anni, per motivi politici, furono fatte circolare false storie sulle circostanze della sua morte, distorcendo completamente il vero svolgersi degli eventi.
Si pretendeva, in questa versione, che poiché lei era una donna nera il personale dell’ospedale per bianchi, dove si pensava fosse stata dapprima condotta, le avesse rifiutato l’ingresso o le cure, e che il tempo perduto le avesse causato la morte per dissanguamento.
In seguito le testimonianze da parte di chi era stato presente al fatto smentirono questo racconto, e fu provato che Bessie, sotto shock, fu raccolta in ritardo da un’ambulanza sulla scena dell’incidente e portata direttamente all’ospedale di Clarksdale che serviva la locale popo-lazione nera, non più lontano di mezzo miglio dall’ospedale “bianco”.
Ciò nonostante lei si spense durante il tragitto, secondo quanto riporta il certificato medico. La grande voce taceva per sempre. Bessie aveva trovato la pace.
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