Count Basie
 
 
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Count Basie

 


di Duncan Schiedt

 



DUNCAN Uno dei piaceri offerti dall’ascolto del jazz è dato dall’esame attento delle voci interne di un’orchestra: il particolare timbro di uno strumento o di un’intera sezione, la coesione e la forza propulsiva di una sezione ritmica, come vengono usati i riff per sostenere i solisti, come i solisti entrano ed escono dal collettivo, il ruolo delle dinamiche, l’effetto di “ punteggiatura” che hanno gli interventi del contrabbassista, del pianista o del batterista. Su disco, noi possiamo sentire con profitto quasi ogni formazione jazzistica, da quella di King Oliver a quella di Stan Kenton, da Jimmy Noone a Brubeck, dalla collaborazione tra Bix e Trumbauer a Mingus, Rollins, Coltrane o Miles Davis, e ritrovarvi quegli elementi senza tempo che identificano quella musica senza possibilità di errore come jazz. Ma nessuna orchestra fu più abile ad offrire quegli elementi in misura maggiore dell’orchestra di Count Basie. O meglio delle orchestre di Count Basie, perche col passare degli anni ce ne furono parecchie ed ognuna aveva le proprie caratteristiche originali, pur mantenendo sempre l’impronta del leader. Nonostante il passare del tempo, il ricambio del personale e i cambiamenti del gusto del pubblico, il suono e la fama di queste orchestre dirette da questo leader continuano a rappresentare un modello di jazz che molti considerano definitivo. Certo, in un momento in cui i fattori economici hanno portato queste orchestre all’estinzione, quando la musica viene eseguita più per essere apprezzata dal cervello che per trascinare il cuore o i piedi, quando la musica preferita da milioni di ragazzi è troppo spesso semplicista, nichilista ed esibizionista, la possibilità che appaia sulla scena un altro Count Basie è piuttosto remota, solo la presenza occasionale di un’orchestra “fantasma” e la gran quantità di registrazioni che lui ha lasciato ci può ricordare l’impatto che ebbero la sua vita e il suo lavoro. È sorprendente che tanta parte della storia del jazz sia stata fatta da un modesto pianista del New Jersey che aveva viaggiato per anni con una compagnia di vaudeville, accompagnando cantanti e attori, solo per andare ad arenarsi lontano mezzo continente da casa in una città in cui la scena musicale era già dominata da musicisti locali di formidabile talento e da quelli che venivano in visita con le cosiddette “ territory bands “, orchestre locali che proliferavano nel centro e nel sudovest degli Stati Uniti. Per un esecutore di limitata esperienza che leggeva la musica in modo appena passabile, le prospettive non erano molto luminose. Ma per Basie, la volontà di apprendere e la fiducia nel proprio istinto erano risorse già attive. Gli inizi furono quelli tradizionali. Era nato col nome di William Basie il 21 agosto 1904 da Harvey e Lily Ann Basie, che dalla nativa Virginia erano emigrati più a nord nella città del New Jersey, Red Bank. Il giovane Bill - ci sarebbero voluti ancora parecchi anni prima che qualcuno lo chiamasse Count- crebbe nella calda atmosfera di una grande famiglia, dove insieme con i genitori c’erano i nonni, zie e zii che davano una mano a guidare i suoi anni di formazione. Il solo altro figlio dei Basie era un bambino che morì quando Bill era ancora piccolo. Bill cominciò molto presto a prendere lezioni di piano, pagate dalla madre con quel che ricavava dal lavoro di lavanderia. Dotato di un orecchio naturale, Basie si stancò in fretta della concentrazione richiesta dall’insegnante, e spostò il proprio interesse sulla batteria, facendo contemporaneamente degli esperimenti per conto proprio sul pianoforte. Seguirono alcuni anni di studi da autodidatta, quando incontrò altri ragazzi della sua età con cui iniziò a suonare on occasione di cerimonie, feste e serate danzanti. La loro sfera d’azione andava da Red Bank alla vicina stazione balneare di Asbury Park. Dopo aver fatto amicizia con un giovane batterista di Long Branch, ed essendo quindi stato messo a confronto con la sua abilità su quello strumento, Basie decise che avrebbe fatto meglio ad attaccarsi al pianoforte. L’amico era Sonny Greer, che presto sarebbe entrato nella cerchia di Duke Ellington a Washington, D.C.. Con un altro amico, Elmer “Skippy” Williams, Basie decise finalmente di tentare la sorte a New York, lontano meno di cinquanta miglia, ma che a confronto di Red Bank era un altro mondo, soprattutto Harlem che un capocuoco in vena di fraternizzare gli aveva fascinosamente descritto durante il viaggio. Il cuoco gli offerse generosamente una camera da letto nel proprio appartamento in città, nel quale stava tornando per un po’ dopo il lavoro. La visita, per i due adolescenti, fu istruttiva. Dopo due interi giorni passati senza osare avventurarsi oltre il marciapiede davanti a casa, vagabondarono in quello che ritenevano dovesse essere il cuore della zona degli intrattenimenti, e una delle prime persone che incontrarono fu Sonny Greer, già affermatosi con l’orchestra di Elmer Snowden e con Duke Ellington nell’Hollywood Night Club di Manhattan. Greer li portò in giro a farsi un po’ vedere e loro, entrati in un localino seminterrato, chiesero improvvisamente di poter sedere nell’orchestra che vi stava suonando. Il trombonista, membro di una compagnia itinerante che stava per lasciare la città, ne fu colpito al punto di parlar loro di un’audizione che si sarebbe tenuta la settimana seguente. C’era bisogno di una band che accompagnasse la parte riservata ai talenti neri in uno spettacolo intitolato”Hippity Hop”. La rivista, di genere burlesque, allineava un coro e un’orchestra di bianchi, alcuni danzatrici e spogliarelliste e la cantante nera Katie Crippen, accompagnata dal proprio personale di attori e musicisti. I ragazzi passarono l’audizione e si trovarono in viaggio, spostandosi dal New England all’estremo Midwest, vedendo per la prima volta la propria nazione, girando in treno sulle eleganti e confortevoli carrozze della compagnia. La prima visita a Kansas City, Missouri, non portò alcun esito, poiché il teatro in cui diedero lo spettacolo era nel circuito Columbia nel centro della città, ad una certa distanza dal distretto nero dove si preparava tanta parte del futuro di Basie. In un secondo tempo, Bill Basie avrebbe scoperto dov’erano i posti importanti! Tornato a New York, Basie si assicurò un lavoro con un’orchestra che suonava al Leroy’s, il locale notturno di Harlem preferito da poliziotti, giocatori e gente di spettacolo. Entrò anche nella sfera di influenza di un grande talento, un giovane della sua età che si stava già costruendo una formidabile reputazione come pianista e, cosa molto importante per Basie, come organista. Basie aveva coltivato a lungo il desiderio di suonare l’organo a canne, e quando scoprì qualcuno che stava gia creando della musica emozionante al Lincoln Theater, cominciò a frequentare assiduamente la prima fila quando il paffuto amico lavorava di mani e di piedi per la delizia di ammiratori altrettanto giovani che sembravano formare una sorta di informale fan club. Basie scoprì presto il nome del musicista, Fats Waller, ed era cosi attento che l’organista si mise a chiacchierare con lui durante lo spettacolo. In breve, Waller invitò Basie nella buca, dove gli mostrò come i piedi si muovessero sui pedali, permettendo poi a Basie di muovere i pedali con le mani mentre Fats suonava la tastiera al di sopra. Da questi incontri informali e dall’ispirazione che Basie riceveva dai dischi e dai DUNCANrulli pianistici di Waller venne il primo stile pianistico di Count Basie, radicato nella tradizione del ragtime ma fermamente stabilito come jazz, uno stile pianistico che poteva abbagliare un uditorio in assolo o se necessario trascinare un’intera orchestra. Sebbene il marchio di fabbrica dello stile di Basie costruito sull’economia di note e sul preciso piazzamento della punteggiatura musicale fosse destinato a diventare in seguito famoso in tutto il mondo, egli non dimenticò mai chi aveva offerto l’ispirazione originaria, quell’amabile, giocoso, super sviluppato “ragazzo” che era Fats Waller. Fu con la compagnia di vaudeville di Gonzelle White che Basie girò in seguito per un paio d’anni, guadagnando in tecnica e in fiducia in se stesso, sebbene la sua esperienza d’orchestra fosse limitata alle piccole formazioni che lavoravano nello spettacolo. In un giorno che gli restò sempre nella memoria, sentì della musica affascinante che veniva dalla strada, e corse a vedere cosa fosse. Un’orchestra stava suonando sul cassone di un camion, facendo pubblicità ad uno spettacolo della sera. La musica era tanto irresistibile che Basie non poteva credere alle proprie orecchie. Anni dopo, ricordava vividamente quella prima impressione che gli avevano fatto i Blue Devils di Walter Page, con Hot Lips Page alla tromba, Buster Smith al sassofono contralto e lo stesso Page alla tuba, con il canto risonante del corpulento Jimmy Rushing. Seguendo il camion insieme ad altri spettatori, Basie pensò che fosse la musica più affascinante che avesse mai ascoltato. Venuta la sera, mentre Basie suonava con due o tre altri colleghi per promuovere lo spettacolo di vaudeville nel Dreamland Theatre di Tulsa, ebbe il piacere di notare qualcuno dei Blue Devils tra quelli che ascoltavano dal marciapiede, e prese dei contatti destinati ad essere preziosi in futuro. Poi lo spettacolo di Gonzelle White terminò l’attività a Kansas City, e Basie, con qualcun altro, decise di restare in quella città. In seguito fu assunto come organista all’Eblon Theater, e dopo il lavoro suonava in molte delle piccole taverne e nei night club allineati nelle strade del settore nero. Qualche volta trovava un pianoforte disponibile, altre volte aspettava il proprio turno di “sedere” nell’orchestra del locale. Fu più o meno a quell’epoca che si diede il nome “Count”, prendendo ispirazione dalla già celebre nobiltà del jazz: “King” Oliver, “Duke” Ellington, “Earl” Hines e “Baron” Lee. Come ebbe modo di far notare, nessuno aveva ancora preso il nome di “Conte”. Dopo pochi mesi, non potendo togliersi dalla testa i Blue Devils, scrisse a Walter Page dicendogli quanto gli sarebbe piaciuto diventare uno dei componenti la sua orchestra. Un telegramma arrivò presto da Parigi, la Paris nel Texas. Avrebbe potuto raggiungere l’orchestra? Count saltò sul primo treno, riuscendo ad acchiappare la band ad Oklahoma City. Scoprì ben presto che i Blue Devils erano quella che si sarebbe vagamente potuta chiamare un’orchestra cooperativa. Non c’era un salario, la band era pagata con una piccola quota fissa a cui si aggiungeva una partecipazione agli incassi. Una volta pagata la benzina per le automobili e valutato quel che sarebbe servito per arrivare all’ingaggio seguente, i soldi erano divisi tra i musicisti, con qualche extra per quelli che a casa avevano dei particolari obblighi nei confronti della famiglia. Gli ingaggi erano per lo più di una sola sera, e nel periodo in cui vi restò Basie soprattutto in Texas. Erano solo una tra le tante orchestre itineranti, ma la loro fama li precedeva ovunque andassero, e la loro musica era proprio la più calorosa e trascinante di tutte, specialmente quando lavoravano su arrangiamenti estemporanei elaborati sulle partiture già pronte che Page aveva raccolto. Dopo il lavoro, Basie e Jimmy Rushing, diventati intimi amici, giravano per le rivendite locali di liquori esibendosi in duo per qualunque mancia potessero raccogliere. Tra una tournèe a l’altra ritornavano alla loro base di Oklahoma City, ma poi, con una prospettiva sempre minore di ottenere degli ingaggi, Basie si rese conto di quanto gli mancasse la sua città “ adottiva” di Kansas City. Un giorno, semplicemente se ne andò, lasciandosi alle spalle una nota di rammarico e un pezzo del suo cuore perché, come ricordò nella propria autobiografia, nel breve periodo passato con quegli amici era diventato un Blue Devil per sempre. I Blue Devils avrebbero inciso un solo disco, quando una unità di registrazione “da campo” della Vocalion Records di Chicago arrivò a Kansas City nel novembre del 1929. Ma a quell’epoca Basie era al pianoforte con la grande band di Bennie Moten. Di tutte le orchestre dell’area di Kansas City, quella di Moten era la più rispettata. Il direttore era lui stesso, il pianista della band, e sembrava impossibile anche solo sognare di prendere il suo posto. Ma il momento deve essere stato quello giusto. Basie salì a bordo, e per un po’ fu il secondo pianista, rimpiazzando il fratello di Bennie, Buster Moten “Bus”, molto apprezzato come fisarmonicista. Fu organizzata una seduta di registrazione a Chicago per la Victor, con una miscela di blues, canzoni popolari e una latineggiante Rumba Negro. Un anno dopo, i Walter Page Blue Devils si sciolsero e Moten ne raccolse i personaggi chiave, Oran “Hot Lips” Page e Jimmy Rushing. Le sedute per la Victor sarebbero state solo quattro e prendevano in genere più di un giorno per essere completate. Ciò nonostante fu registrato l’impressionante numero di quarantun pezzi, molti dei quali furono incisi più di una volta. La seduta finale, nello studio di Camden della Victor, fu realizzata quando la fortuna della band era ad un punto piuttosto basso, ma ascoltando quanto fu registrato il 13 dicembre 1932, nessuno sospetterebbe che il morale non fosse alto. Tutti i brani, ognuno dei quali fu registrato una sola volta e poi pubblicato nella rara serie “23.000”, hanno uno stupendo suono d’insieme e la qualità swingante della musica mostra con tutta evidenza che l’Età dello Swing, almeno per come l’intendeva l’orchestra di Moten, era già cominciata” E’ evidente, fin dal primo brano a quella seduta, che Basie è fin da ora una stella di prima grandezza dell’orchestra. Toby offre una prima affascinante idea dei tre elementi chiave dello stile pianistico di Basie. Per primo, le pugnalate acuminate che lo punteggiano, usando il minimo possibile di note, però piazzate con impeccabile senso del tempo per ottenere il massimo effetto. Vi è poi un cenno della sua esperienza ad Harlem, dove richiama l’attenzione uno “stride” simile a quello di Waller. DUNCANLa terza è una parte dello stile di Basie poco sottolineata ma importante, quel modo di “accompagnare” dentro l’orchestra, prendendo il suo posto come parte integrante della sezione ritmica, una caratteristica che gli ingegneri della Victor hanno registrato nel miglior modo possibile per le tecniche di allora. Tra i brani registrati in quell’occasione c’e anche Moten Swing, una creazione collettiva accreditata ai fratelli Moten, ma che è in realtà una rielaborazione basata sullo schema armonico di Yuo’re Driving Me Crazy di Basie ed Eddie Durham, il trombonista e arrangiatore dell’orchestra che suonava anche la chitarra elettrica. Questa canzone e Blue Room sono esempi di un’orchestra che suona quasi “ gridando” a tutto volume come in un blues urlato o in certe funzioni religiose, una cosa che fa balzare il cuore anche dai solchi d’un vecchio disco. Possiamo solo cercare di immaginare l’effetto della band ascoltata dal vivo in una sala da ballo zeppa di coppiette in estasi. Walter Page, che ha imposto lo stile del contrabbasso in 4/4, era adesso in orchestra, e basta sentire Milenberg Joys per rendersi conto di quale formidabile spinta potesse offrire. Prince Of Wails è sotto ogni aspetto di Count Basie. La seduta è anche notevole per i contributi di Hot Lips Page, di Eddie Barefield ( sassofono contralto e clarinetto ) e di un giovane Ben Webster, che stava ancora formando un proprio stile sul sassofono tenore. Un veloce passo avanti nel tempo, e siamo alla metà di novembre del 1935. Bennie Moten se n’è andato per sempre, morto dissanguato durante una tonsillectomia, e Basie adesso dirige una piccola orchestra composta in parte da musicisti che erano prima con Moten, alcuni già negli originali Blue Devils, e da un paio di facce nuove che quell’anno avevano lavorato con Basie di tanto in tanto. Il posto in cui suonano si chiama Reno Club, una sala di Kansas City piccola e poco appariscente aperta tra la Dodicesima strada e Cherry, con un palco più piccolo del normale, uno spazio sulla pista per gli spettacoli di varietà e un bar sull’esterno. Uomini soli potevano sempre trovare una partner per ballare tra le ragazze che frequentavano il locale. Era solo uno dei tanti locali notturni tutti uguali che si allineavano in quella zona. Basie e i suoi se ne stavano comodamente adagiati in un ingaggio stabile e sicuro, con un datore di lavoro amichevole e una gran attività, per quel che riguardava la musica. Sul palco dell’orchestra si potevano trovare musicisti come Hot Lips Page e Joe Keyes, alle trombe, il trombonista Dan Minor, i sassofonisti Buster Smith, contralto, Lester Young, tenore, e Jack Washington, baritono. Jo Jones, batteria, Walter Page al contrabbasso e il pianista Basie erano mescolati agli altri, mentre il corpulento Jimmy Rushing lavorava davanti con una cantante altrettanto ponderosa. L’orchestra lavorava quasi senza interruzioni, e al sabato suonava per un intero giro d’orologio dalle 8 di sera in avanti. Una stazione radio sperimentale della città trasmetteva una parte del concerto a tarda notte. Nella lontana Chicago, seduto in macchina fuori dal Congress Hotel dove l’orchestra di Benny Goodman si stava godendo l’inizio della sua prima scrittura d’un certo respiro, c’era l’onnipresente John Hammond, un esponente dell’alta società newyorkese la cui coscienza del ruolo era superata soltanto dall’infatuazione per il jazz e per i suoi musicisti che lo accompagnò per tutta la vita. Col pretesto di essere lì per il debutto di Goodman, aveva realizzato alcune registrazioni con Albert Ammons e un gruppo diretto da Gene Krupa. Ma quella sera, girando la manopola della radio alla ricerca di qualcosa che valesse la pena ascoltare, trovò improvvisamente il suono flebile della W9XVY, dove, incredibilmente, c’era una musica come non ne aveva mai sentito. Poco dopo persuase Goodman a raggiungerlo in macchina per ascoltare quell’orchestra che trasmetteva dal Reno Club, ma Benny non ne fu molto colpito. Hammond però non se ne sarebbe dimenticato. Ne avrebbe scritto entusiasticamente su Down Beat e ne avrebbe parlato con chiunque avesse voluto ascoltarlo una volta tornato a New York. In seguito, andò a vedere e sentire di persona, e ne fu nuovamente incantato. Con l’intenzione di registrare l’orchestra a New York, Hammond organizzò una seduta d’incisione alla Brunswick. Ma anche altri avevano annusato l’affare, e quando Hammond fu di ritorno a New York, Dave Krupp della Decca Records, che allora era una compagnia relativamente nuova sulla scena, fece firmare all’ingenuo Basie un contratto capestro, che pretendeva l’obbligo di registrare ventiquattro facciate all’anno per tre anni, con un tetto massimo di 750 dollari l’anno, senza diritti sulle vendite. Aggiunse anche che la Decca avrebbe pagato il viaggio della band fino a Chicago, cosa che al fiducioso Basie sembrò la ciliegina sulla torta. Hammond, arrivato dopo la firma di questo contratto, andò su tutte le furie e cercò di farlo rompere. Alla fine, tuttavia, tutto quello che poté fare fu appellarsi al sindacato nazionale dei musicisti affinché gli orchestrati fossero pagati secondo le tariffe sindacali, cosa che la Decca accettò di fare. Nella sua autobiografia, Basie racconta che il band leader Charlie Barnet, che allora stava godendosi i primi successi, conosceva l’orchestra del Reno Club e si era offerto di farne da garante nell’area di New York anche prima che se ne accorgesse Hammond, ma che lui si era rifiutato di seguire quell’offerta, trovandosi abbastanza bene al Reno. Hammond lavorò a fondo con l’impresario di Goodman, Willard Alexander degli uffici MCA, e questo portò ad un altro viaggio a Kansas City, con Alexander a rimorchio,per convincerlo delle potenzialità di quella nuova orchestra. Le dimensioni della band, ideali per il Reno Club, non andavano bene per una tournèe in altre sale da ballo, cosi la formazione di nove musicisti avrebbe dovuto crescere fino ad arrivare a quattordici. Un altro scaltro operatore di New York, Joe Glaser dell’Associated Booking, venne allora a vedere cosa stesse succedendo, e se ne andò con in tasca un contratto per Hot Lips Page, che riteneva il musicista più vendibile del gruppo, una probabile stella sul modello di Armstrong. Due significative aggiunte di quel periodo furono il trombettista Buck Clayton e il sassofonista tenore Herschel Evans. Si stava riunendo una formazione di portata storica. La MCA scritturò la band al Grand Terrace di Chicago, sede stabile dell’orchestra del grande Earl Hines che allora ospitava la Fletcher Henderson Orchestra, costretta ad andarsene all’arrivo della ciurma di Basie. Durante i primi giorni in cui le orchestre si sovrapposero, a Basie e ai suoi uomini fu chiaro quanto fossero desolatamente impreparati per un simile ingaggio. Lo spettacolo sulla pista richiedeva una musica adatta ad occasioni speciali, e i ballerini chiedevano una gran varietà di pezzi popolari con tempi sempre diversi. Basie e i suoi diedero una scorsa alla loro raccolta di arrangiamenti, piena di lavori appena accennati per l’improvvisazione e di materiali jazzistici assolutamente inadatti. Fortunatamente Fletcher Henderson, conoscendo le loro condizioni, offerse generosamente un pacco delle proprie partiture ai nuovi arrivati, ricevendo l’etera gratitudine di Basie. A Chicago , Basie trovò un chitarrista, Claude “Fiddler” Williams, che era anche un eccellente violinista cosa che la squadra di Basie probabilmente, e comprensibilmente, non seppe utilizzare al meglio durante la sua permanenza in orchestra. Sarebbe stato rimpiazzato a New York da un musicista che sarebbe durato più a lungo di tutta la “gang” DUNCANoriginale, Freddie Green. Il primo turno di registrazione Decca venne subito dopo un ingaggio alla Roseland di New York: Honeysuckle Rose, Pennies From Heaven, Swingin’ At The Daisy Chain ( che alludeva ad una nota casa di malaffare della città) e Roseland Shuffle. Ma queste furono solo le prime a nome di Basie. John Hammond, ancora molto turbato dai termini del contratto con la Decca, aveva organizzato una seduta per incidere quattro brani a Chicago mentre l’orchestra lottava ancora con la musica degli spettacoli al Grand Terrace. La band era una piccola formazione mascherata sotto lo pseudonimo di “Jones-Smith Inc.”, dove Jones era il batterista Jo Jones e Smith il trombettista Carl “Tatti” Smith. Gli altri erano Lester Young e Walter Page, con il cantante Jimmy Rushing per due brani. Queste sono tra le più vitali esecuzioni degli anni Trenta. I pezzi erano Shoe Shine Boy, Evenin’, Boogie Woogie e Lady be Good. Pubblicate negli Stati Uniti su etichetta Vocalion, fecero immediatamente sensazione, primo ascolto su disco di un gruppo di Basie. L’improvvisazione di Lester Young in Lady Be Good è una miracolosa coppia di ritornelli che negli anni seguenti è stata trascritta e suonata da un’enormità di aspiranti sassofonisti tenore. Potrebbe essere stata la migliore ora di registrazione di Lester Young. Certo è che lo catturò all’apice della forma e della creatività, e il suo assoluto virtuosismo limpido e rilassato non è mai più stato superato nei tanti dischi che ha poi registrato con Basie. La band catturava con lentezza la fantasia del pubblico. Lo stile di Kansas City sconcertava lo spettatore medio che entrava in un locale per cenare o per ballare, non era qualcosa che potesse essere regolato in sottofondo, ma una musica che costringeva a mettersi seduti ad ascoltare. Anche in un posto confidenziale come l’Apollo Theatre di Harlem, gli ascoltatori faticavano a scaldarsi per quella orchestra, e Basie attribuisce a Billie Holiday, che per un po’ cantò con la sua band, il merito di averla avuta vinta sul pubblico. Ma, col tempo, e con la notevole collana di brani strumentali che la band stava incidendo per la Decca, cominciarono a far presa. La stampa specializzata trovò delle gran buone cose da dire sui singoli musicisti e sul fresco ed eccitante stile jazzistico di Kansas City che qualcuno chiamò “jump music”, musica saltellante, che fa saltare. Presto il nuovo corso fu messo in evidenza dai sondaggi di popolarità, che allora erano dominati dalle popolari orchestre da ballo bianche. La gente parlava di successi discografici come One O’Clock Jump, Jumpin’ At The Woodside ( un albergo di Manhattan in cui era scesa l’orchestra), Every Tub, John’s Idea, Swingin ‘ The Blues, Doggin’ Arround e Texas Shuffle. Molti brani erano caratterizzati dal contrasto nei rispettivi ritornelli di due sassofonisti tenore, il texano Herschel Evans che aveva una sonorità simile a quella di Hawkins e il distaccato, puro timbro di Lester Young il cui stile su quello strumento rifletteva i primi anni passati a suonare il contralto. La tromba spesso sordinata di Buck Clayton veniva messa in gara con i voli improvvisi di Harry Edison, sopranominato “Sweets”, sinonimo di “jazzista” derivato dal significato di “musicalità” , “armonia”. La sezione ritmica era diventata famosa di suo, con ognuno dei componenti capace di adattarsi agli altri con tale perfezione che il ritmo sembrava fluttuare nell’aria. Walter Page, portò con sé una vasta esperienza e un robusto slancio ritmico; Freddie Green, mai amplificati, scandiva con fermezza e con gran gusto i suoi motivi proprio nel cuore stesso dell’orchestra, sebbene da fuori non lo si sentisse facilmente; Jo Jones, con l’uso accuratissimo dei piatti e con quel modo di suonare privo di ogni pesantezza aveva molta parte nella creazione dello slancio impetuoso dell’orchestra. E, naturalmente. lo stesso Basie, il cui stile sembrava essere stato costantemente ripulito, fino a lasciare solo gli elementi essenziali, e di quale essenza!Una singola nota, piazzata in modo squisito in uno spazio aperto, un trillo qui o una terzina là, ma fuori dal ritmo di base; forse un breve ritorno al suo stile “stride” e l’immancabile accompagnamento a due mani, quelle fondamenta sulle quali cosi tanta musica può essere costruita. Quando gli fu chiesto in un’intervista perché avesse cosi evidentemente ridotto l’uso della mano sinistra, Basie replicò che gli piaceva semplicemente ascoltare il contrabbasso a che non voleva sovrastare il suo amabile suono con un ritmo pesante del pianoforte. Ma è chiaro anche al più casuale degli ascoltatori che Basie era soprattutto un giocatore di squadra nella propria orchestra, che lasciava ai suoi tanti solisti di talento i loro momenti di fulgore musicale, offrendo loro quasi sempre quando entravano un mazzolino di note di piano perfettamente calibrate dal punto di vista ritmico. A differenza di alcune delle più importanti orchestre nere-di Ellington, di Hines, di Henderson- quella di Basie non riuscì a trovare un posto che potesse diventare la sua sede fissa. Per lui non ci furono un Cotton Club, un Roseland o un Grand Terrace. L’unica eccezione fu una scrittura nella famosa “ Strada dello swing” di New York, la Cinquantaduesima Strada Ovest. Lì le cantine erano state trasformate in intimi jazz club, dove lo spazio per l’orchestra era molto ristretto, i tavoli egualmente piccoli e le sedie praticamente si toccavano. Alla fine degli anni Trenta, quando Count e la band erano sotto contratto in uno dei più conosciuti di questi club, la Famous Door, nei localini situati lungo quel solo isolato si potevano trovare artisti jazz di gran fama: John Kirby, Art Tatum, Stuff Smith, Fats Waller, Coleman Hawkins e tanti altri. Semmai era raro che un’orchestra intera fosse scritturata in uno di quei ritrovi grandi come un fazzoletto. Ma John Hammond e l’agente della MCA Willard Alexander in qualche modo riuscirono a convincere i proprietari ad accettare i quattordici uomini con due cantanti. Che fosse o no affollato, l’ingaggio alla Famous Door si mostrò fondamentale per portare a conoscenza del pubblico il suono della band di Basie, perché la Famous Door ritrasmetteva la loro musica attraverso la rete radiofonica CBS parecchie notti alla settimana, una pubblicità che nessuna moneta avrebbe potuto comprare. Vi restarono molti mesi, e quando tornarono ancora una volta sulla strada era evidente che la loro fama li aveva preceduti. La radio aveva fatto per loro quello che aveva fatto per Benny Goodman tre anni prima. Le tournèe durarono tre anni, e inevitabilmente l’orchestra subì alcuni cambiamenti. Herschel Evans, solista senza pari, morì improvvisamente d’infarto, Eddie Durham fu sostituito da Dicky Wells e Harry Edison arrivò dall’orchestra di Lucky Millinder. Helen Humes aveva rimpiazzato Billie Holiday prima dell’ingaggio alla Famous Door, e avrebbe condiviso il ruolo di cantante con Jimmy Rushing per quattro anni. Nell’ultima parte del 1940, Lester Young, una delle colonne della band, lasciò Basie per formare un proprio complesso, sostituito non molto tempo dopo dopo dal sassofonista tenore Don Byas, che era veterano delle big band. Verso la fine dell’anno l’orchestra passò dalla MCA all’agenzia William Morris, seguendo l’esempio del loro rappresentante personale Willard Alexander. Il gruppo di Basie, scaduto il contratto con la Decca, andò alla Vocalion, etichetta sussidiaria della Columbia, e lavorò ancora una volta a stretto contatto con John Hammond, facendo uscire dischi di successo a getto continuo, prodotti da una batteria di arrangiatori, ma tutti con l’impronta di Basie. La guerra si prese il suo tributo di musicisti, e il personale cambiò di continuo. Nell’agosto del 1942 Basie si sposò. Sua moglie, incontrata la prima volta quando lei lavorava in uno spettacolo alla metà degli anni Trenta, era Catherine Morgan. La loro luna di miele, dopo il matrimonio a Seattle, non fu altro, ovviamente, che un giro con l’orchestra. La loro figlia, Dine, sarebbe nata l’anno seguente. Ala fine degli anni Quaranta, Basie senti il bisogno di una pausa, e sciolse l’organizzazione che aveva diretto per quindici anni. Dei componenti originali, rimasero solo Jack Washington e Jimmy Rushing. Della band che era stata alla Famous Door, solo HarryDUNCAN Edison, Earl Warren, Dicky Wells e Freddie Green erano ancora con lui. Un complessino di sei musicisti che suonava nei club su e giù per la nazione fu l’avventura seguente di Basie e, a suo modo, ebbe successo. Malgrado ciò gli dispiaceva non avere più lo stesso effetto stimolante che gli dava l’orchestra, e quando fu stimolato da gente come Billy Eckstine si risolse a riunire una nuova band. La promessa di un contratto al Birdland, un locale jazz di Manhattan, lo aiutò a decidersi. Il personale sarebbe stato radicalmente diverso da quello della sua precedente orchestra e, con l’eccezione dell’altosassofonista Marshall Royal, anche da quello recente sestetto. Royal sarebbe diventato il braccio destro di Basie, direttore musicale e primo contralto per quasi vent’anni. Un altro sassofonista contralto, Ernie Wilkins, avrebbe rivestito una notevole importanza nella nuova orchestra in qualità di arrangiatore principale, stabilendo il modello del nuovo suono di Basie. Più o meno in quel periodo iniziò anche un rapporto di collaborazione con l’impresario Norman Granz, che si sarebbe rivelato di cruciale importanza per una accoglienza favorevole della sua rinata formazione, i cui vecchi fans rimpiangevano le stelle del periodo precedente come Young, Jo Jones, Buck Clayton e Dicky Wells. I dischi di Granz, nel nuovo formato long playing, avrebbero aiutato Basie a costruirsi un nuovo seguito in tutta la nazione, aiutato da un flusso costante di impeccabili brani originali e di arrangiamenti creati da Wilkins, Frank Foster, Frank Wess, Neal Hefti, Quincy Jones, Benny Carter e dal trombettista Thad Jones, per nominare solo alcuni dei collaboratori. Mentre i vecchi affidabili standard come Jumpin’At The Woodside e Rock-A-Bye Basie restavano sempre nella raccolta delle partiture, i nuovi compositori, arrangiatori ed esecutori parlavano una lingua lievemente diversa, ma che era sempre in grado di swingare. Quando Basie di fermò a guardarsi intorno, fu per vedere che l’epoca della big band stava per chiudersi: mentre solo lui, Ellington e Woody Herman tenevano ancora il fuoco acceso, e Stan Kenton si ingegnava a predicare il suo particolare genere di jazz nelle sale da concerto. Negli anni che rimanevano, Basie avrebbe portato l’orchestra all’estero incontrando ovunque accoglienze calorosissime. La band sarebbe diventata il fulcro di tournèe che portavano in giro un pacchetto ben confezionato di tutte le stelle, spesso promosse da Granz, in cui per restare al passo con i tempi i cantanti avevano assunto molta più importanza di prima. Joe Williams, già veterano delle scene, avrebbe raggiunto la celebrità con Basie affascinando le folle con il blues. Tony Bennett, cantante pop dotato di una notevole estensione e di un bellissimo timbro, si unì a Basie per una raffinata collaborazione discografica, e Lambert, Hendricks e Ross. Affascinante trio di cantanti, interpretavano i classici del jazz in vocalese, imitando fedelmente assoli e passaggi d’insieme delle sezioni proprio come suonavano nelle registrazioni originali di Basie. Al suo pubblico, Count Basie sembrava quasi immortale, una figura simile a quella di Duke Ellington. Al pianoforte sedeva sempre eretto, con un piede piantato in un angolo dello strumento, gli occhi e la mente fissi sull’orchestra, di tanto in tanto girando la testa per incrociare lo sguardo con un musicista, puntare un dito su un altro, sempre infilandosi in qualche piccolo spazio di musica con quelle inimitabili raffiche di suoni per cui era cosi famoso. Ma era evidentemente ingrigito, si dirigeva camminando con prudenza verso il pianoforte, e ad un certo punto fu costretto ad attraversare il palcoscenico su un piccolo scooter elettrico. Negli ultimi anni aveva adottato un caratteristico cappellaccio da marinaio senza il quale era difficile vederlo. Quando morì, il 26 aprile 1984, fu come se fosse morta un’istituzione. Per quelli che lo avevano seguito fin dai primi giorni, non sembrava possibile che quella fonte zampillante di jazz che lui rappresentava fosse stata chiusa. Ma era vero, e tutto quello che abbiamo sono i ricordi e la presenza benedetta della musica registrata. Tutto quello che può servire a richiamarlo è ascoltare qualcuno dei vecchi dischi, Moten Swing, Taxi War Dance, Taps Miller o Dickye Dreams, seguiti da qualche classico più recente: Little Pony, Down For The Count, April In Paris, Shiny Stockings, Every Day, Lil’ Darlin’, The Kid From Red Bank, e Splanky per cominciare. Si può pensare un modo migliore per iniziare una giornata… o terminare una serata?

 
 

 

 
         
 
   
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